Oltre i nostri antenati, episodio 1.

In copertina: In the village library di Irina V. Shevandronova

 

Come mio fratello e L’amico ritrovato per il Giorno della Memoria

di Beatrice Morra


La prima persona della vita con cui fingiamo di aver letto un libro è generalmente un insegnante. Questo è un fatto che non cambierà. Potrebbero però cambiare i consigli di lettura proposti agli studenti, allargando le opzioni al sottobosco dell’editoria indipendente e alle nuove prospettive che tenta di aprire sui grandi temi della contemporaneità.

Chiudere il cerchio: Come mio fratello di Uwe Timm

21 marzo

Donec

Testa di ponte sul Donec. A 75 metri Ivan fuma una sigaretta, un bel boccone per la mia mitragliatrice.

Nell’inverno del 1943 un giovane tedesco, Karl Heinz Timm, decide di arruolarsi volontario nell’unità Totenkopf delle SS, impiegata sul fronte orientale contro le forze sovietiche. Durante il breve tempo trascorso in guerra, nelle lettere che invia a casa Karl Heinz si rammarica dei bombardamenti su Amburgo; allo stesso tempo, nel suo diario prende note laconiche sui russi caduti, senza registrare né la portata del fatto né alcuna traccia della propria contraddittorietà.

Muore sei mesi dopo essersi arruolato. A casa rispediscono uno stringato telegramma di condoglianze firmato da un tenente delle SS e una scatola con pochi oggetti: un pacco di fiammiferi, un tubetto di dentifricio, la foto di un’attrice. E un diario.

Sessant’anni dopo, il fratello minore di Karl Heinz, lo scrittore tedesco Uwe Timm, inizia a sfogliare quel diario e a fare i conti con la storia della sua famiglia. Nasce Come mio fratello (Sellerio, 2023, traduzione di Margherita Carbonaro), un romanzo autobiografico iniziato mezzo secolo prima di essere scritto.

copertina di Come Mio Fratello di Uwe Timm, 2003
Quando Karl parte per il fronte, Uwe, ultimo arrivato in famiglia, ha solo tre anni. E pur nell’incertezza dei ricordi fatica a far combaciare due semicerchi: quello della memoria storica e quello della memoria personale. L’uno è composto dalle annotazioni brutali del fratello: un soldato russo, un Ivan che fuma nel buio, diventa un bel boccone per la mia mitragliatrice. L’altro, formato dai ricordi d’infanzia, di un lattiginoso e confortevole chiarore: Uwe che corre in cucina e Karl Heinz, ridendo, che lo acciuffa per lanciarlo in aria tra gridolini di gioia. Ha sedici anni più di lui e forse – se il ricordo non è rivestito dal tempo – in quel momento già indossa l’uniforme.

No, i due lati non combaciano. E il cerchio non si chiude. Ma sfogliare quelle pagine assottigliate dai decenni scatena un prurito che spinge alla penna, per tenere traccia di un’esperienza individuale e trasformarla in collettiva attraverso la storia di una famiglia che arriva a rappresentare un’intera nazione. La traduzione letterale del titolo è, d’altronde, “Prendendo l’esempio di mio fratello”.

Più di tutto, questo libro è forse un’occasione per riflettere con sincerità e coraggio sul concetto stesso di memoria.

L’amico ritrovato e Come mio fratello: prospettive che si specchiano.

Nella costellazione di libri che hanno cercato di dare un senso all’orrore, L’amico ritrovato di Fred Uhlman è ormai da decenni tra quelli più adottati a scuola – basti guardare il suo posizionamento in classifica vendite Amazon nelle settimane che precedono il Giorno della memoria. Anche in questo romanzo, pubblicato nel 1971, il centro emotivo della narrazione è un legame che fa i conti con l’addio.

Protagonista e voce narrante, Hans è uno studente ebreo di Stoccarda che stringe amicizia con Konradin, discendente di una nobile famiglia tedesca. L’amicizia tra i due segue tutte le fasi dei primi approcci adolescenziali e diventa profonda e sincera, salvo sfaldarsi disastrosamente. Con l’incupirsi del clima politico e l’irrompere delle prime discriminazioni razziali, Konradin infatti confesserà all’amico di vedere in Hitler l’unica speranza per risollevare la Germania, garantendo che il Führer inizierà presto a distinguere tra ebrei cattivi ed ebrei buoni e che Hans, in partenza (leggi: in fuga) verso gli Stati Uniti potrà tornare a breve in patria. Come sappiamo e come Uhlman non si premura di spiegarci troppo, la Storia gli darà torto. Decenni dopo Hans, ormai adulto, stabilmente trasferitosi negli Stati Uniti e mai più tornato in Germania, scoprirà quasi per caso l’ultimo gesto di redenzione di Konradin e ritroverà il senso del loro legame.

Sul peso di una separazione, fisica ed emotiva, e di una distanza scavata dall’orrore, si innesta il dialogo tra questo classico della letteratura sulla memoria e Come mio fratello. I due testi in un certo senso si specchiano: il tentativo di ricucire una ferita privata inflitta dalla Storia passa attraverso un percorso per ritrovare l’altro, mentre la profondità di un legame fraterno si complica nelle dinamiche sociali: L’amico ritrovato nel sistema-classe, Come mio fratello nel sistema-famiglia. Le difficili interazioni con i compagni di scuola avvicinano Hans e Konradin, mentre la figura di un padre sfuggente con tutti e fiero solo del figlio arruolato complicano percezioni e ricordi dell’autore-narratore Uwe. Sono le opposizioni dei due romanzi a generarne il dialogo, anche da un punto di vista narratologico: se la storia di Hans è finzionale e si dispiega dal lato dei sopravvissuti, quella di Uwe è autobiografica e fa i conti con il senso di colpa dei carnefici e con le documentazioni concrete del loro agire.

Questo cambio di visuale pone i due romanzi in una preziosa continuità: Come mio fratello può diventare un’occasione per amplificare attraverso l’esperienza biografica il valore della memoria narrativa, che ne L’amico ritrovato si articola nel racconto di eventi finzionali. Per intavolare, cioè, anche un discorso sulla memoria etica, che strutturi una riflessione critica sul passato e sulla responsabilità collettiva nelle tragedie storiche.

Il suo piatto preferito era purè di patate con uova al tegamino e spinaci. Nel tuorlo ancora liquido mia madre versava lentamente il burro caldo. Gli piacevano i cavoletti di Bruxelles e da bambino li chiamava i carboncini verdi. Quando era malato voleva mangiare riso al latte con zucchero e cannella. Non beveva, non fumava. Fin quando non arrivò al fronte. Le sigarette le mandava al padre. Ma ormai beveva, faceva baldoria tutta la notte, al mattino adunata. Esercitazioni in stato di ubriachezza. Così i ragazzi venivano forgiati.

La riflessione sulla banalità del male trova qui potenza narrativa: al racconto si alternano lettere, diari e telegrammi. Questa stratificazione complessa della memoria che si avvale dei documenti per riempire il vuoto lasciato dai ricordi necessita di una contestualizzazione e di uno sforzo interpretativo guidato, e per questo la lettura è sicuramente consigliabile negli ultimi anni di secondaria di secondo grado. Pure, la scrittura è piana e scorrevole, le atmosfere sono delineate con piglio romanzesco, e i piani cronologici in continua sovrapposizione permettono di tracciare il ritratto complessivo delle generazioni che hanno reso possibile il nazismo: padri in obbediente adesione ai valori imposti, figli convinti dei propri ideali e madri pronte a giustificarne la cecità.

E per contrasto emerge anche l’eredità dei superstiti, di chi è restato e si è trovato ad essere custode di colpa e redenzione. La problematica elaborazione del passato nazista non è solo il contenuto del romanzo, ma è anche il pretesto della sua genesi: raccontare della propria famiglia vuol dire raccontare di tutte le famiglie tedesche che hanno creduto nella guerra, che hanno ignorato l’orrore guardando altrove, che hanno perso figli e padri; e che alla fine hanno soffocato il trauma e il senso di colpa evitando di parlare, nonostante nei cassetti, nelle scatole, sotto i letti, infilati nei libri ci fossero diari, lettere e fotografie, sbiadite testimonianze di quel passato da cancellare. Attraversare questo libro significa fare i conti con una narrazione diversa dell’Olocausto e approdare in territori ostili pieni di domande. Quali sono le responsabilità di chi si crede assolto? Qual è l’eredità etica della Storia e a chi spetta custodirla?

Senza concedersi mai autoassoluzioni, Come mio fratello arricchisce gli spunti offerti da un classico come L’amico ritrovato aggiungendovi l’intensità dell’esperienza biografica e la complessità di una prospettiva differente. Un pensiero sembra attraversare tutto il testo: raccontare non serve solo a tramandare i fatti, ma anche a rompere il silenzio dietro cui la collettività si è nascosta. Dietro cui, davanti a certi corsi e ricorsi storici, continua a nascondersi.

Alternative all’alternativa

Io non mi chiamo Miriam, Majgull Axelsson (Iperborea, 2016)

Fronti e Frontiere, Joyce Lussu (Abbot, 2021)

Rispondi