I vivi, i morti e quelli che vanno per mare.

In copertina: Una foto dell’Heraclitus in navigazione durante la sua ultima spedizione (2010)

 

Cinquant’anni di avventure del vascello Heraclitus.

di Andrea Ariano


San Francisco, fine degli anni Sessanta. Intorno alla figura di John P. Allen, ingegnere e metallurgista quarantenne, si costituisce un collettivo di giovanissimi con formazioni diverse e una comune visione del mondo. Insieme danno vita nel 1967 al “Theatre of all possibilities”, una pratica teatrale itinerante che confluirà due anni più tardi nel Synergia Ranch, un pionieristico ecovillaggio nel deserto del New Mexico. Qui, oltre al teatro, inteso come atto che unisce corpo, pensiero ed emozioni, iniziano a praticare l’autocostruzione e l’agricoltura per rendersi completamente indipendenti. Come per tutti i fautori della controcultura americana, ritirarsi nei deserti era un modo per manifestare il dissenso e la non aderenza ai valori della società del consumo. Allo stesso tempo, era un’occasione per sperimentare altri modi di vita possibili. Come dichiarerà Allen, a lui interessava “la trasformazione di ciò che siamo di solito, del potenziale umano”.

L’architetto Richard Buckminster Fuller sosteneva che storicamente fosse proprio nelle outlaw areas che avvenivano i grandi avanzamenti tecnologici, umani e sociali; quando gruppi ristretti di persone si trovavano in situazioni dove non regnava altra legge se non quella della natura. Fuller faceva riferimento al mare aperto durante il periodo in cui si svilupparono le potenze marittime e coloniali europee. Come si è visto, le comuni hippies che sorgevano nei grandi spazi non antropizzati dell’entroterra americano, condividevano in pieno questa condizione. Non è un caso che la bibbia di questo tipo di collettivi fosse il Whole Earth Catalogue, il grande catalogo enciclopedico ideato da Steward Brand alla fine degli anni ’60, che raccoglieva al suo interno articoli, recensioni, tecniche costruttive e soluzioni a molti problemi quotidiani, dalla costruzione di un rifugio a come far nascere un bambino. Brand, che doveva molto alle idee di Fuller, aveva immaginato un catalogo che spingesse gli individui a “condurre la propria educazione, trovare la propria ispirazione, plasmare il proprio ambiente e condividere la propria avventura con chiunque fosse interessato”. Il sottotitolo del catalogo “access to tools”, dimostra quanto l’idea dello strumento come liberatorio e emancipante fosse radicata nella controcultura americana di quegli anni. Padroneggiare l’utilizzo di uno strumento amplia infatti a dismisura il campo del possibile, spinge al pensiero critico, ma soprattutto aumenta la propria indipendenza.

Quando John Allen e Marie Harding, sua futura moglie e figura centrale del gruppo, si sono conosciuti per la prima volta, lei stringeva tra le mani “Il monte analogo” di René Daumal. Il libro, galeotto di questa avventura, racconta di ”un gruppo di esseri umani che hanno capito di essere in prigione, che hanno capito di dovere, prima di tutto, rinunciare a questa prigione (perché il dramma è l’attaccarvisi), e che partono in cerca di una umanità superiore, libera dalla prigione, presso la quale essi potranno trovare l’aiuto necessario. E lo trovano, perché alcuni compagni ed io abbiamo realmente trovato la porta. Solo a partire da questa porta comincia una vita reale”. Così l’autore racconta la trama del suo romanzo in una lettera del 1940 all’amico Raymond Christoflour, ed è sotto questa luce che devono essere illuminate le avventure di Allen e i suoi. Il collettivo nel 1973, dopo qualche anno nella comune di Synergia Ranch, fondò l’Institute of Ecotechnics, l’ente no profit istituito per sviluppare e praticare l’ecotecnica, ovvero l’ecologia della tecnica e la tecnica dell’ecologia. L’anno successivo decisero che era arrivata l’ora di spingere i propri sforzi e i propri progetti da una dimensione locale ad una globale: dal deserto del New Mexico al mare aperto. Iniziarono quindi a costruire una nave, che consentisse a circa quattordici persone di vivere per lunghi periodi in mare, con un pescaggio relativamente basso che permettesse di avventurarsi lungo le coste e visitare i grandi estuari dei fiumi. L’avrebbero chiamata Heraclitus, dal nome del filosofo dell’oceano cosmico del cambiamento.

Il vascello Heraclitus in navigazione

Che si tratti di deserto o mare aperto, sono le condizioni che accomunano l’esperienza di Synergia Ranch prima e di Heraclitus poi: l’isolamento, il confronto quotidiano con le forze della natura; ma soprattutto l’approccio del learning by doing. Infatti, nonostante nessuno del collettivo avesse competenza in merito, si decise comunque di costituire un team di progettazione e costruzione navale. Optarono per una giunca, l’imbarcazione tipica cinese che Allen aveva scoperto durante un viaggio ad Hong Kong, per la sua stabilità e per la facilità di progettazione e costruzione. Sempre in quest’ottica, venne scelto il ferrocemento per la realizzazione dello scafo, un materiale povero e a basso costo che necessita soltanto di una gran quantità di manodopera non specializzata. In circa sei mesi, dall’agosto del 1974 al febbraio 1975 numerosi volontari sotto la guida di Margaret Augustine, appena diciannovenne, completarono la costruzione della nave. Le immagini di repertorio che mostrano il varo sono a dir poco emozionanti. Siamo nella baia di Oakland, dove è avvenuta la costruzione. Sul ponte c’è tutto l’equipaggio in attesa, una dozzina di persone. All’improvviso vengono rimossi gli scontri e la nave inizia a scivolare in avanti, entrando completamente in acqua in circa dieci secondi. Dopo qualche attimo di incertezza e un vistoso rollio, la nave si stabilizza e procede sfruttando l’abbrivio iniziale. I membri dell’equipaggio esplodono in salti di gioia, le braccia al cielo, corrono sul ponte e si abbracciano tra di loro.

Il viaggio inaugurale, durato quattro anni, ha quasi completato il giro del mondo. Da San Francisco a Miami attraverso il canale di Panama, poi la prima traversata oceanica fino al Marocco. Da qui Spagna poi Francia, attraversando tutto il Mediterraneo per arrivare al canale di Suez. Mar Rosso, Golfo Arabico fino a Mumbai, prima di continuare verso Singapore e infine l’Australia. Da allora, per quasi quarant’anni, il vascello di ricerca Heraclitus ha solcato i mari dei cinque continenti, portato a termine altre undici spedizioni navigando per oltre 270 000 miglia marine. Alcune di queste spedizioni comprendevano un viaggio di tre anni intorno al globo attraverso i tropici per esplorare le origini della cultura umana, un viaggio lungo il Rio delle Amazzoni per condurre raccolte etnobotaniche in Perù, o ancora la circumnavigazione del Sud America per poi procedere con una spedizione verso l’Antartide. Inoltre, l’equipaggio ha raccolto coralli al largo della costa dello Yucatan per il progetto Biosphere II, l’esperimento più noto e controverso condotto dall’Institute of Ecotechnics: un enorme sistema ecologico chiuso realizzato in Arizona nel 1991 a immagine e somiglianza della biosfera terrestre in cui gli scienziati sono rimasti per due anni per studiare le interazioni tra uomo e biomi naturali e la fattibilità di colonizzare altri pianeti.

L’equipaggio a bordo durante la spedizione in Antartide

Per ciò che concerne la vita a bordo, l’equipaggio può arrivare a 14 persone e oltre allo spazio personale si trova un laboratorio scientifico, un teatro e una biblioteca. I membri dell’equipaggio imparano a vivere in un gruppo ristretto, a conoscere nuove culture, a prendersi cura della barca e soprattutto a sviluppare abilità motorie e verbali grazie alle performance che si realizzano e che vengono portate in scena nei cinque continenti. Sul sito ufficiale del progetto l’imbarco viene descritto come un’esperienza di vita unica, fatta di avventure a contatto con gli agenti naturali, di esplorazioni oceaniche e spirituali, grazie alle quali si possono allargare i propri orizzonti e trovare nuovi stimoli e fonti di ispirazione. Nella stessa pagina viene riportata a chiare lettere una citazione di Mark Twain: “Tra vent’anni non sarete delusi dalle cose che avete fatto, ma da quelle che non avrete fatto. Allora mollate le cime, abbandonate i porti sicuri, catturate il vento nelle vostre vele. Esplorate. Sognate. Scoprite.”Da circa dieci anni il vascello si trova nella cittadina portuale di Roses, in Spagna, per un restauro completo. Il nuovo varo è previsto per il 2024, quando inizierà una spedizione verso il Sud America. Compilando un questionario sul loro sito è possibile entrare a far parte dell’equipaggio e salpare per le prossime spedizioni. Io nel mio ho scritto:

“Ho visto il documentario Spaceship Earth, in cui, oltre al più famoso esperimento Biosphere II, viene raccontata la storia dell’Heraclitus. Credo che la sua storia sia affascinante perché, in qualche modo, molto attuale. In quasi cinquant’anni di attività, l’Heraclitus porta con sé le istanze degli anni Sessanta e Settanta ai giorni nostri, dimostrandone da una parte l’estrema attualità, dall’altra la loro mancata e forse impossibile realizzazione. Oggi, gli anni Sessanta sembrano essere una specie di ossessione: così diversi e lontani da apparire quasi esotici, eppure così magnetici e attraenti, anni in cui si aveva l’impressione di vivere davvero. Ciò dipende in parte dalla serie di condizioni, probabilmente irripetibili, che hanno caratterizzato l’epoca in cui, per citare Marcuse, c’era lo spettro di un mondo che avrebbe potuto essere libero. Il paradosso è che oggi, nonostante le condizioni materiali di liberazione dal lavoro e di benessere diffuso siano più presenti di quanto non lo fossero negli anni Sessanta, le possibilità che quello scenario si realizzi sono praticamente nulle. La nave Heraclitus è allo stesso tempo uno stimolo di immaginazione e un’opportunità concreta che offrite alla nostra generazione. Se lo riterrete adeguato vorrei coglierla e imbarcarmi per la prossima grande avventura.”

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