In principio era il gender

il Pink Floyd pig sorvola la Battersea Power Station, una centrale elettrica londinese, mentre vengono scattate le foto per la copertina di Animals, 1976.   

 

di Federica Ranocchia

 


 

Se dovessimo immaginare oggi un luogo nel quale i concetti di progresso, libertà di espressione e diritti civili vengono ridotti in difesa della tradizione dello Stato, forse immagineremmo tutti la Russia. Negli ultimi anni il paese si è comportato come una vera e propria nemesi ai “valori occidentali”, a questo hanno contribuito eventi recenti, come la repressione dell’informazione durante l’epidemia covid e, successivamente, la propaganda intensificata al fine di fomentare e giustificare l’intervento armato in Ucraina. Come se non bastasse, da anni siamo a conoscenza delle controverse leggi e degli atteggiamenti oppressivi che vigono nell’enorme federazione dell’est. Ad aggravare la situazione, già più volte denunciata da Amnesty e condannata dai trattati sui diritti umani, ci ha pensato il voto dello scorso ottobre, quando la Duma – la camera bassa del parlamento russo – si espresse a favore di una legge in discussione da mesi, che, se approvata, vieterebbe di parlare in modo positivo di omosessualità, matrimoni gay e altri temi legati all’esperienza delle persone LGBTQ+,  quindi al trattamento di queste come “normali”.

La legge discussa ad ottobre in Russia, non è nient’altro che l’estensione di un’altra legge in vigore nella federazione dal 2013, che impone il divieto di fare propaganda positiva su temi di omosessualità e identità di genere. La legge viene difesa dal nobile scopo di proteggere i minori dalle informazioni che promuovono la negazione dei valori tradizionali della famiglia.  In una sentenza del 2017 la Corte europea dei diritti umani si espresse definendo la legge russa del 2013 discriminatoria, omofoba e contraria alla Convenzione europea dei diritti umani.

Questo è quello che accade in Russia, ma le origini di questi pensieri sono radicate in anni di discussioni che partono da molto più vicino a noi. Il nostro caro mondo Occidentale, sede della cultura e del bel pensare, culla di alcune tra le idee più progressiste e patria della democrazia, non soltanto è il posto nel quale noi Occidentali viviamo, ma ci sembra anche uno dei luoghi migliori in cui vivere. Il nostro mondo, che vede nel benessere del singolo la sua vocazione, ci appare lontano anni luce dai mondi politico-culturali, come la Russia, che fondano nella prosperità nazionale, rigida e tradizionalista, il fine ultimo della loro esistenza. 

Siamo in un mondo lontanissimo da quello, eppure, “proteggere i minori dall’omosessualità e dall’identità di genere” riecheggia nelle teste di molti di noi come una delle argomentazioni portanti di quello che è il movimento cosiddetto anti-gender. Un movimento che negli ultimi anni si è insinuato con evidenza nel dibattito pubblico sui diritti civili, non solo in quello tra i valori dell’Occidente verso l’esterno, ma anche nei discorsi politici interni ai singoli paesi europei e ai singoli stati americani. E a differenza di quello che siamo portati a pensare, quando si parla di regimi di oppressione e di leggi liberticide nei confronti delle persone LGBTQ+, questi non trovano le loro radici ideologiche nella remota steppa russa, o nei sotterranei di qualche locale losco nel porto di Hong Kong.

 

Da dove partiamo

Le basi delle teorie che oggi sostengono i discorsi anti-gender nascono alla vigilia di una delle più importanti conferenze mondiali sui diritti umani: la conferenza sulle donne organizzata dalle Nazioni Unite che si tenne a Pechino tra il 4 e il 15 settembre del 1995.

Ma facciamo un passo indietro. Nel 1968 si tenne a Teheran la prima Conferenza internazionale sui diritti dell’uomo, per esaminare i progressi compiuti nei venti anni successivi all’adozione della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e per formulare un programma per il futuro. Tra il 14 e il 25 giugno 1993, a Vienna, le parti si incontrarono nuovamente per verificare l’andamento del piano d’azione siglato nel ‘68 e per rinfrescarne gli intenti. E’ da questo incontro che si susseguirono, una dopo l’altra, alcune delle conferenze più importanti in materia di diritti umani, dando vita al periodo più prolifico di discussione su queste tematiche da parte delle Nazioni Unite.

E’ in questo contesto di acceso dibattito e volontà d’azione che si tenne la Conferenza internazionale su popolazione e sviluppo , svoltasi al Cairo dal 5 al 13 settembre 1994. Ma già nel marzo, l’allora papa Giovanni Paolo II, in una lettera al Segretario Generale dell’ONU Boutros Boutros-Ghali, espresse i suoi dubbi e dissensi in merito agli argomenti posti all’ordine del giorno consegnati alle delegazioni partecipanti alla Conferenza, tra cui quella della Santa Sede:

Il progetto di documento finale della prossima Conferenza de Il Cairo ha attirato la mia attenzione. E’ stata per me una dolorosa sorpresa.
Le innovazioni che contiene, a livello sia di concetti che di terminologia, ne fanno un testo molto differente dai documenti delle Conferenze di Bucarest e di Città del Messico. Non si può non aver paura degli sbandamenti morali, che potrebbero trascinare l’ umanità verso una sconfitta, la cui prima vittima sarebbe proprio l’ uomo.
[…] L’ unica risposta alla questione demografica e alle sfide poste dallo sviluppo integrale della persona e delle società sembra ridursi alla promozione di uno stile di vita le cui conseguenze, se esso fosse accettato come modello e piano d’ azione per l’ avvenire, potrebbero rivelarsi particolarmente negative. […]
Inoltre, la concezione della sessualità sottesa a questo testo è totalmente individualista, nella misura in cui il matrimonio appare ormai superato. Ma un’ istituzione naturale così fondamentale ed universale come la famiglia non può essere manipolata da nessuno.
Ancora più gravi appaiono le numerose proposte di un riconoscimento generalizzato, su scala mondiale, del diritto all’ aborto senza restrizione alcuna: il che va ben al di là di quanto purtroppo consentono già diverse legislazioni nazionali.
In realtà, la lettura di questo documento che, è vero, costituisce solo un progetto, lascia l’ amara impressione di un’ imposizione: quella di uno stile di vita tipico di certe frange delle società sviluppate, materialmente ricche, secolarizzate. I paesi più sensibili ai valori della natura, della morale e della religione accetteranno senza reagire una simile visione dell’ uomo e della società?

Lettera di Giovanni Paolo II, dal Vaticano, 19 marzo 1994.

Nonostante i dubbi sollevati dalla fazione vaticana, le 179 delegazioni chiamate a pronunciarsi al Cairo affermarono l’importanza di riflettere su sviluppo e popolazione come temi strettamente collegati, esprimendo l’esigenza di identificare nella salute riproduttiva uno degli strumenti fondamentali per il miglioramento delle condizioni di vita individuali, quindi di promuovere la parità tra uomini e donne per consentire a queste ultime di partecipare direttamente alle decisioni riguardanti la propria vita, a partire dalla scelta di quanti figli avere e quando.

Questo portò a una forte presa di posizione da parte della fazione rappresentante la Santa Sede alle conferenze successive. Strutturata, coesa, agguerrita, la compagine vaticana, nei mesi successivi al Cairo, iniziò una vera e propria azione di contrasto ai testi promossi dalle Nazioni Unite per prepararsi alla discussione di Pechino, la quarta conferenza mondiale sulle donne, dopo quelle del 1975 (Città del Messico), 1980 (Copenaghen) e 1985 (Nairobi), che si sarebbe tenuta di lì a poco.

 

La personalità che più di tutte incarnò le veci della battaglia sul piano ideologico, fu quella dell’attivista Dale O’Leary, medico statunitense affiliata all’Opus Dei, poi diventata collaboratrice dei centri Narth di terapia di conversione di omosessuali fondati dallo psicologo Joseph Nicolosi

O’Leary presentò nel 1995 all’allora cardinale Ratzinger alcuni dei suoi studi, tra i quali Gender: The Deconstruction of Woman. Il testo rappresentava una teoria volta a etichettare i discorsi sulle tematiche di genere come un vero e proprio piano strutturato per distruggere “l’ordine naturale” della società e il sacro vincolo del matrimonio. Si leggeva su Repubblica in quel periodo:

 

Chi ha partecipato alla riunione preparatoria, svoltasi a New York da metà marzo fino alla prima settimana di aprile, lamenta che la filosofia del documento si rifiuti di prendere in considerazione positivamente la famiglia e il ruolo materno della donna. “Non si capisce con chi viva questa donna. E’ come se fosse da sola! C’ è anche il rifiuto di parlare della dignità della donna, si preferisce insistere solamente sulla dignità della persona”. Dunque, ci sarà battaglia. Anche se il Vaticano per ora tenta di conservare un profilo basso, le associazioni confessionali Pro-Famiglia sono mobilitate: “Il femminismo dei gruppi gender – dicono – libera la donna come una bomba libera un edificio”. Un approccio pacato per il dibattito di Pechino.

Marco Politi, La Chiesa si prepara alla guerra dei 5 sessi, Repubblica, 20 maggio 1995 

Il clima era teso, gli ambienti femministi vedevano nella partecipazione alla conferenza di Pechino del Vaticano un ostacolo alla buona riuscita dell’incontro, dall’altro lato la Santa Sede temeva si calpestassero le tradizioni che il suo ruolo gli imponeva di difendere. Fu quindi interesse di entrambe le parti trovare un punto d’incontro, che però non fu trovato. Giovanni Paolo II incontrò verso la fine di maggio la Segretaria generale della Conferenza mondiale per le donne, Gertrude Mongella, « Il successo della Conferenza dipenderà dalla sua capacità di offrire una vera visione della dignità della donna e delle sue aspirazioni », disse il papa specificando che  « l’uguaglianza della dignità non significa essere la stessa cosa degli uomini », perché  « il valore della femminilità » si sperimenta  « nel cuore della propria famiglia ». Inoltre, fu ribadita la posizione della Santa sede circa la « protezione di ogni vita umana, a ogni stadio del suo sviluppo e in ogni situazione », non come singola battaglia contro l’aborto – già discussa al Cairo l’anno prima – , quanto piuttosto come un’idea globale della dignità della donna.

 

La diatriba sul termine gender

In una discussione che pare svolgersi ai giorni nostri, il termine “genere”, presente nell’ordine del giorno per la Conferenza di Pechino, fu additato come colpevole di una volontaria ambiguità che doveva essere a tutti i costi dissipata. Il dibattito, già allora, obbligò a ridefinire i termini della conferenza ancor prima che iniziasse. Alla riunione preparatoria all’incontro di Pechino, l’Honduras e il Benin, alleati della Santa Sede nella battaglia antiabortista al Cairo, sollevarono la questione: « cosa significa gender? », esigendo una definizione precisa.

Cosa significa “genere”? Buffa domanda. Eppure una commissione di diplomatici e funzionari delle Nazioni unite si è esercitata su questo tema, nelle ultime settimane, alla ricerca di una risposta convincente e soprattutto accettabile a sensibilità politiche molto diverse. E per diradare la prima “crisi” che si addensava attorno alla Quarta conferenza mondiale delle donne, che comincerà in settembre a Pechino.
[…] la commissione delle Nazioni unite incaricata di dirimere la questione ha trovato una soluzione minimalista: il termine “genere” è usato nell’accezione in cui era usato nei documenti precedenti. […] non solo della differenza biologica si sta parlando ma della connotazione culturale dei ruoli di donna e uomo nella società. Come ha detto in poche e chiare parole durante una recente visita a Roma Gertrude Mongella, la segretaria generale della Conferenza mondiale per le donne: ´Erano solo malintesi linguistici. Quando diciamo genere intendiamo parlare di come donne e uomini sono trattati nella società […] Insomma: significa riconoscere che il mondo è fatto di donne e di uomini e che ogni decisione deve tener conto di entrambi.

Marina Forti, Conferenza di Pechino: cosa significa genere?, noidonne, luglio-agosto 1995

Alla luce delle divergenze interpretative, si chiarì che il termine “genere” era inteso nella declinazione usata nel linguaggio del femminismo e dello sviluppo. Esso fa riferimento non alla differenza biologica immutabile tra femmine e maschi espressa dal termine “sesso”, ma a una differenza sociale. Ogni società, in un determinato tempo e in un determinato luogo, costruisce una serie di rapporti, ruoli, aspettative intorno all’identità di uomo e di donna. Quindi, come tutte le costruzioni sociali, i ruoli di genere non sono “naturali”: possono presentarsi con modalità estremamente diverse da una società all’altra e possono essere soggetti a cambiamenti, cosa che non può avvenire in termini biologici.

Accettare questa definizione avrebbe significato accettare che il ruolo di donna nella società non fosse “naturalmente” precostituito, quindi che le iniziative volte a modificare i rapporti di genere sarebbero state legittime – in un’ottica di sviluppo – e non “contronatura”. Ovviamente, questa definizione non fu accettata dalla fazione vaticana, che il 15 settembre 1995 – giorno di chiusura della conferenza di Pechino –  pubblicò su Osservatorio Romano una vera e propria Dichiarazione riguardante l’interpretazione del termine «genere», ribadendo che la Santa Sede – al di là delle definizioni date alla Conferenza – avrebbe inteso il termine “genere” come « fondato su un’identità biologico-sessuale, maschile e femminile », inoltre, avrebbe escluso « interpretazioni dubbie basate su concezioni diffuse, che affermano che l’identità sessuale può essere adattata indefinitamente, per accogliere nuovi e diversi scopi ».

Il termometro degli animi segnò rosso fin da subito e l’ostruzionismo vaticano fu costante per tutta la durata della conferenza di Pechino. Infatti, già il 6 settembre – il secondo giorno della Conferenza – diverse organizzazioni sottoscrissero una lettera aperta all’ONU, ritenendo « assolutamente inappropriato per la Chiesa Cattolica partecipare come membro con diritto al voto alle Conferenze delle N. U., ciò che può fare in virtù del suo status di Osservatore Permanente » inoltre, fu fatto appello all’obbligo etico delle Nazioni Unite di esercitare neutralità riguardo le religioni, definendo « i privilegi adesso garantiti alla Chiesa Cattolica Romana sotto gli auspici della Santa Sede » contrari a tale principio di imparzialità, e chiedendone quindi la revoca. 

Come abbiamo visto poco fa, alla chiusura della Conferenza di Pechino, gli animi non si calmarono, anzi. Reduce, in parte sconfitto, di un’embrionale battaglia ideologica, il Vaticano gettò le basi di una guerra più strutturata al “genere” e ai diritti civili “progressisti”. Mentre nel mondo si festeggiava il Piano d’Azione promosso dalle Nazioni Unite a Pechino, Dale O’Leary teorizzava una delle tesi conservatrici più potenti degli ultimi trent’anni: la demoniaca agenda di genere. Nel suo libro The Gender Agenda: Redifining Equality, pubblicato nel 1997, l’autrice ribadiva che l’utilizzo di “genere” al posto di “sesso”, quindi l’implicazione derivante della non coincidenza tra biologia e identità di genere, generasse una serie di conseguenze mirate a distruggere la famiglia e la tradizionale distinzione tra maschi e femmine. Inoltre, nel libro venivano nominati – in maniera alquanto vaga – i presunti promotori di questa fantomatica teoria del gender « il gruppo che si occupa del controllo della popolazione; quello dei libertari della sessualità; gli attivisti dei diritti dei gay; i promotori multiculturali del politically correct; la componente estremista degli ambientalisti; i neo-marxisti e i progressisti; i decostruzionisti e i postmodernisti ».

La Chiesa decise di fare propria questa interpretazione della realtà, che nel 2002 si tradusse nella pubblicazione del Lexicon, un volume di 867 pagine dal dichiarato scopo ausiliare alle ambiguità di alcune espressioni lessicali utilizzate con noncuranza « nei Parlamenti e nei fori mondiali », con il rischio di « occultare il loro reale contenuto e significato ». Come si legge nella prefazione:

Indicando il reale contenuto e la verità che deve guidare il suo uso appropriato, cerca di illuminare riguardo ad alcuni termini o espressioni ambigue o equivoche, che risultano di difficile comprensione. In questo campo già esiste una gravitazione culturale che complica ulteriormente una giusta interpretazione. In questo caso occorre seguire pazientemente l’origine e lo sviluppo delle espressioni e della loro diffusione. Non saranno rari i casi in cui si coniano termini che non giungono a occultare completamente un’intenzione precisa: evitare ciò che risulta sbalorditivo, in modo tale da addolcire l’espressione, al fine di evitare un rifiuto quasi istintivo. È il caso dell’abile formulazione “interruzione volontaria della gravidanza” o “pro-choice”

Card. Alfonso Lopez Trujillo, prefazione al Lexicon: Termini ambigui e discussi su famiglia, vita e questioni etiche, 8 dicembre 2002

Nel testo si definisce nuovamente in negativo la teoria del gender, dedicando alla questione un intero capitolo dal titolo “Identità e differenza sessuale”,  nel quale si ribadisce che se l’essere uomo o donna non è una determinazione sessuale, bensì culturale,  « tale ideologia attacca le fondamenta della famiglia e delle relazioni interpersonali ». 

 

L’incontro tra l’anti-gender e la politica

Negli anni seguenti, questi discorsi trovarono il loro seguito, dal quale derivò la fondazione di nuove associazioni: nel 2005 nasce Scienza & Vita, con lo scopo di ostacolare la discussione sulla fecondazione assistita – nello specifico, sull’abrogazione di alcuni limiti imposti alla legge n. 40/2004 – facendo prevalere l’astensionismo al referendum, e così accadde. Il successo dell’operazione diede il via a una serie di eventi che contribuirono alla circolazione in Europa di un discorso pseudo scientifico sul “gender”. Alla Universidad de Navarra, Pamplona, si tenne nel 2011 la prima conferenza europea sull’ “ideologia gender”,  a quell’incontro – organizzato da esponenti dell’Opus Dei – presenziarono alcuni membri del collettivo francese che nel 2012 darà vita a Mainf pour Tous, un’altra associazione strettamente collegata anche a milizie pro-life e partiti di estrema destra come Front National e Civitas.

Fu così che la Francia vide materializzarsi nelle piazze le prime crociate dell’anti-gender, il 13 gennaio 2013, l’associazione organizza a Parigi una protesta contro la proposta di legge, voluta dal governo Ayrault, sulla regolamentazione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso. A tale manifestazione parteciparono oltre 300 mila persone.

Mainf pour Tous determinò la fusione tra la teoria del gender e l’azione politica di estrema destra, creando un discorso chiaro e comprensibile da tantissime persone – fatto di slogan semplici e d’impatto – , e non solo in Francia. Da quel momento, la teoria “anti-gender” cominciò a essere percepita come un’opportunità politica in grado di riaccendere l’attivismo cattolico in diverse parti d’Europa. Includendo, sempre più spesso nel già controverso discorso sul “gender”, tutte le persone LGBTQ+.

Nel luglio 2013, ad esempio, fu fondata in Croazia un’associazione ispirata a La Manif pour Tous, questa riuscì ad ottenere l’istituzione di un referendum costituzionale tenutosi nel dicembre dello stesso anno. Approvata dal 66,28% dei voti, la proposta referendaria ha condotto ad emendare l’art. 62 della Costituzione che introduce una disposizione secondo la quale «il matrimonio è l’unità vivente di una donna e di un uomo», escludendo quindi le unioni di coppie omosessuali dalla definizione.

Anche in Italia si verificò una proliferazione diffusa di associazioni che ricalcavano la volontà al contrasto di promozioni di leggi in favore dei diritti delle persone LGBTQA+. Nel 2012, durante il discorso alla Curia Romana per gli auguri di Natale, Benedetto XVI affermò la “profonda erroneità” della nozione di gender, in quanto negazione della natura dell’essere umano e della volontà divina, fornendo un gesto d’appoggio politico incisivo e avviando, di fatto, la mobilitazione anti-gender.

Da questi due eventi, la mobilitazione francese e il discorso del papa, nacque la radicalizzazione del movimento pro-life che trovò casa e culla in due neonati organismi associativi: il giornale Notizie ProVita e il collettivo Giuristi per la vita. Ed è a questo punto che in Italia si assiste al primo tentativo di ostacolare l’avanzamento di proposte per l’estensione dei diritti civili da parte di queste associazioni. Quando, nella primavera del 2013, vennero presentati i disegni di legge contro l’omofobia del deputato Ivan Scalfarotto e quello sulle unioni civili proposto dalla senatrice Monica Cirinnà, venne lanciata la mobilitazione del mondo cattolico contro queste iniziative, tra l’estate e l’autunno dello stesso anno, fu fondata Manif pour Tous Italia – poi ribattezzata Generazione Famiglia – e cominciarono le veglie delle Sentinelle in Piedi.

Scriveva, il 5 giugno del 2014, Francesco Agnoli sul Foglio in un articolo intitolato Barricate  « Elenco ragionato dei motivi per fare un nuovo Family day: gender, legge 40, matrimonio breve »:

Gli orrori della manipolazione educativa che abbiamo vissuto nelle grandi dittature genocide del secolo XX non sono spariti. Conservano la loro attualità sotto vesti diverse e proposte che, con pretesa di modernità, spingono i bambini e i giovani a camminare sulla strada dittatoriale del ‘pensiero unico’”. L’attacco alla vita e alla famiglia è veramente a 360 gradi. Nel nostro paese si prospetta in pochi mesi la possibilità di una slavina di proporzioni inaudite. Oppure l’inizio di una controffensiva, che per un credente è senza dubbio religiosa, ma anche culturale e politica. Il rischio alle porte è che in pochi mesi, dopo lo sdoganamento dell’eterologa e il divorzio breve, divieto di obiezione di coscienza sull’aborto, legge Scalfarotto e matrimoni gay possano divenire legge dello stato. Con effetti devastanti per tutti. 

Francesco Agnoli, Barricate, Il Foglio, 5 giugno 2014

Ad affiancare e avvalorare il discorso anti-gender, giunse allora l’importanza di difendere i minori dalla manipolazione inflitta loro dai “militanti del gender”. Toni Brandi, di Notizie ProVita, e Mario Adinolfi perfezionarono il discorso “no-gender” con l’utilizzo di “horror stories” e tecniche persuasive più raffinate, dando vita alla campagna nazionale di conferenze di informazione sulla “teoria gender”. Lo scopo di queste conferenze era difendere in primo luogo i bambini. [cosa vi ricorda]

Negli anni seguenti ci furono molte associazioni che ribadirono come la diffusione degli studi di genere e orientamento sessuale nelle scuole italiane non fosse in alcun modo un pericolo, come fece l’Associazione Italiana di Psicologia nel marzo 2015. Tuttavia, si dovette insistere per chiarire l’inconsistenza scientifica del concetto di “ideologia del gender” – sostanzialmente risolvibile in una stratificata teoria del complotto -, come fece l’Ordine degli Psicologi specificando che, a differenza di quanto asserito dai movimenti anti-gender, « favorire l’educazione sessuale nelle scuole e inserire nei progetti didattico-formativi contenuti riguardanti il genere e l’orientamento sessuale non significa promuovere un’inesistente “ideologia del gender”, ma fare chiarezza sulle dimensioni costitutive della sessualita’ e dell’affettivita’, favorendo una cultura delle differenze e del rispetto della persona umana in tutte le sue dimensioni e mettendo in atto strategie preventive adeguate ed efficaci capaci di contrastare fenomeni come il bullismo omofobico, la discriminazione di genere, il cyberbullismo ».

Toni Brandi e Alessandro Fiore, portavoce e caporedattore di Notizie ProVita, compaiono infine in un documentario russo omofobo e dall’atteggiamento esplicito fortemente anti-gay, Sodom (2015) dal minuto 38:50 – per i più curiosi al minuto 40:26 si scorge una bella maglia ProVita -. Nel documentario si racconta l’impegno di una «famiglia numerosa», «naturale» e «cristiana» che partecipa alla marcia per la vita e contro «la sodomia che ha invaso il mondo» . Non viene detto chiaramente, ma è la famiglia di Roberto Fiore composta da undici figli, tra i quali Alessandro di Notizie ProVita. Inoltre, il legame con il partito neofascista, anti-abortista, anti-omosessuale e per la famiglia naturale Forza Nuova fu sempre evidente negli ambienti del Family Day, e di certo non è uno scoop rimarcare la profonda vicinanza – almeno ideologica – che c’è tra questi partiti e la Russia di Putin. 

 

Gli anni sono passati, e ad oggi questi discorsi – che prima in pochi facevano a qualche conferenza sui diritti umani – trovano voce nei dibattiti politici e questo avviene ogni volta che un partito se ne fa rappresentante.

Una legge che vorrebbe imporre la teoria transgender (Domenico Forgiuele, Lega) Un’affermazione secondo cui l’unica famiglia è quella naturale fondata sull’unione di un uomo e di una donna diventerebbe reato (Galeazzo Bignami, Fratelli d’Italia) Se uno fa il segno della croce e dice “in nome del padre”, non andrebbe bene perché dovrebbe citare tutti i generi (Claudio Borghi, Lega) Genere, orientamento sessuale, identità di genere, sono tutti termini che da un punto di vista scientifico non esistono (Alessandro Pagano, Lega) Arriveremo all’abolizione degli specchi, perché lo specchio ti rimanda chi sei e quindi a quale genere appartieni. Che cos’è la giornata dedicata all’omofobia, alla transfobia, ecc nelle scuole, se non un elemento di pulizia del pensiero? (Antonio Palmieri, Forza Italia) Invito tutti voi che avete figli a riflettere se sia il caso di mandare il 17 maggio di ogni anno un bambino, un minore, a scuola per farlo partecipare a una giornata in cui gli viene spiegato cos’è la trasfobia quando ancora non sa cos’è un transessuale (Flavio di Muro, Lega) Vi arriva la babysitter a casa, Presidente? e tu la desideri, diciamo, in maniera diversa? Omofobia, indagato, condannato. Affitti una casa a una studentessa? Ti si presenta un transessuale? Non lo puoi non prendere, perché a quel punto diventa omofobia! (Alessandro Pagano, Lega)

Discussione parlamentare durante la quale si deciderà di non far passare il ddl Zan, 2021

 

Abbiamo imparato a chiamare “tradizionalista” o “conservatore” il politico che si dimostra ostile a proposte innovative promosse dalle correnti più progressiste, quelle correnti dalle idee tipicamente di sinistra che vedono come unica strada percorribile quella di uno sviluppo coeso tra società, politica e economia.

E’ in questa tensione tra la conservazione della tradizione e la fluidità – a volte smemorata – del progresso che si trovano spazi fertili di dibattito, spazi dove impariamo a prendere le giuste misure per progredire accettando le tradizioni, senza scadere nell’inferno della dimenticanza. 

Questa fibrillazione costante, che contraddistingue la nostra contemporaneità, contribuisce a farci percepire quella in cui viviamo come la safe-zone inviolabile della giustizia. Un luogo dove il pericolo è stato scampato, dove la storia ci salva dagli errori del passato e l’infallibile scienza ci indica la via della verità. Ed è in nome della verità che allontaniamo con riluttanza i ragionamenti controversi e complottisti di alcuni, ritenendoli lontani da noi, implausibili, non auspicabili nella nostra proiezione sghemba verso il futuro. Ma è proprio in seno al dibattito culturale che questi nascono, perché, come ci ricordano i versi del poeta lirico tedesco Friedrich Holderlin – diventati patrimonio della filosofia grazie alla ripresa che ne fece il filosofo Martin Heidegger -, « Dove c’è pericolo, cresce anche ciò che salva » e se identifichiamo la salvezza nel progresso, gli ostacoli al progresso sono il pericolo da cui non possiamo pensare di essere scampati.

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