«Occhio è sguardo, e sguardo è potere ». Un gesto banale come il guardare può avere, nel contesto contemporaneo, una valenza rivoluzionaria. è quello che sembra dirci Simone Arcagni, docente di Cinema e media all’università di Palermo, ne L’occhio della macchina. Già autore di numerosi saggi sul tema innovazione e tecnologia, Arcagni nel suo ultimo volume si destreggia tra temi quali Intelligenza artificiale, Computer Vision, Realtà Aumentata e Realtà virtuale, analizzando con precisione i fenomeni che caratterizzano l’era digitale.
Il libro, edito da Einaudi nella collana “I Maverick”, si inserisce in un dibattito molto prolifico sul tema dello sguardo – letterale e metaforico – che sembra riflettere le preoccupazioni di un periodo storico estremamente mutevole. Nell’epoca della comunicazione di massa e dell’invadente presenza delle immagini, si avverte una certa necessità di riformulare il concetto di sguardo e di definire il significato odierno del guardare. Un’urgenza testimoniata dalla recente pubblicazione di testi come Per sguardi e per parole di Patrizia Valduga, Essere una macchina di Mark O’Connell e Storia dello sguardo di Mark Cousins, che fanno della visione e della sua relazione con le nuove tecnologie un argomento centrale.
Nei dodici capitoli che compongono il libro, l’autore ripercorre le tappe salienti che il concetto di sguardo ha avuto nel pensiero antico e moderno, e, passando per Leibniz e per quei principi di discrezione matematica che hanno gettato le basi per la moderna Informatica, arriva a illustrare il modo in cui “guardano” le macchine di oggi, in cosa consiste cioè lo sguardo dei dispositivi che usiamo ogni giorno o che sono in via di sperimentazione. « quando parlo di “occhio della macchina” intendo l’occhio che definisce la visione contemporanea, il carattere, la logica visiva che specifica l’impatto dell’Informatica sul guardare e sul vedere ».
Detto in altri termini, l’autore cerca di entrare nell’occhio artificiale e di mostrarcene il funzionamento, scrutando il mondo attraverso la sua lente. Ma le capacità del nuovo sguardo non si fermano alla pura rappresentazione dell’ambiente circostante: l’occhio computazionale, a detta di Arcagni, sta prendendo strade alternative, allontanandosi dalla mera riproduzione della vista umana – imprecisa e limitata – con l’obiettivo di creare un nuovo sguardo, potenziato e multisensoriale, capace di conferire alla macchina facoltà che all’uomo non sono concesse, e un certo libero arbitrio che fa di questa un’entità autogestita e autosufficiente. « Non si tratta quindi più di mezzi di comunicazione, ma di veri e propri “organismi” di ricezione, elaborazione e ricreazione di dati ».
Siamo di fronte a sistemi che seguono una propria ontologia e che, alla stregua di esseri viventi, sono in grado di prendere decisioni in totale autonomia e trovare le soluzioni più adatte ad ogni circostanza. « Quello che colpisce è anche l’idea che l’ingerenza tecnologica nella nostra società stia portando a uno sviluppo delle tecnologie tale non solo da determinare logiche culturali e immaginari nuovi, ma anche da imporsi con una volontà propria, come una sorta di indipendenza, quasi biologica, […] quasi una “determinazione” delle tecnologie ».
Le parole di Arcagni fanno venire in mente un romanzo di Philip Dick, Vulcano 3, in cui un gigantesco computer, nascosto nelle profondità di un imprecisato istituto, ha il compito di elaborare ogni giorno un’immensa mole di dati con l’obiettivo di fornire risposte ai dubbi politici e amministrativi dei leader mondiali; una quantità di dati tale da consentire al “cervellone” di prendere coscienza di sé e del mondo, e quindi di attrezzarsi a combattere gli oppositori e di auto perfezionarsi per la sua stessa sopravvivenza.
Non devono meravigliare certi accostamenti: è lo stesso autore a far convivere nella medesima pagina personaggi ritenuti professionalmente molto distanti, come ingegneri e scrittori (non di rado di fantascienza). Arcagni, infatti, si muove tra diverse suggestioni, scientifiche da un lato, letterarie e cinematografiche dall’altro, intrecciando campi del sapere disparati che vanno dai Cultural Studies alla Filosofia dell’informatica, dalla neurobiologia alla psicologia della percezione, interrogando matematici come Marvin Minsky e David Marr, sociologi come Marshall McLuhan e Gilles Deleuze, artisti come Huxley, Calvino, Borges.
Pur inserendosi in un solco consolidato di studi – una tradizione che va dai pensatori greci a Goethe, dai manuali di ottica medievale a John Berger – il libro di Arcagni rappresenta un unicum: preferendo a un tono accademico una scrittura divulgativa e scorrevole, l’autore ci accompagna per mano nella selva del presente tecnologico, affrontando con la passione del cultore e il piglio del critico le manifestazioni del visivo contemporaneo, allestendo un discorso che pone scienze e arti in continuo dialogo.
Ma il contenuto del saggio non si riduce solamente a questo. Se è vero che l’uomo va rivalutato come un « nuovo “essere” che oggi significa “essere aggiornati” », bisognerebbe ripartire dalla più lontana, fondamentale delle domande: che cosa significa essere umani? O meglio: che cosa significa essere umani, oggi? Laddove la fisicità del corpo non basta più a definire la propria identità, laddove una Realtà virtuale risulta il migliore anestetico all’arida waste land del presente, spetta a noi rintracciare l’umanità tra gli ologrammi.