Diagnosi di un personaggio immaginario

Introduzione ad una cartella clinico-fenomenologica di Michele Apicella

di Bryan Bove


Nello studio del mio psichiatra c’è una libreria. Quando aspetto la guardo. Da anni vedevo un libro dalla copertina brutta che come tanti libri finisce per essere arredo e quello era lì prima di lui. Capisco cos’è quel libro solo quando inizio ad appassionarmi al cinema. Così conosco André Bazin. Le volte successive gliene parlo. C’è sempre una parte delle nostre ore dedicate alle arti, principalmente al cinema e alla letteratura. Gli parlo di quel libro che ha in fondo alla libreria: “Che cos’è il cinema?”, in particolare della “Introduzione ad una simbolica di Charlot”. Gli dico che mi piacerebbe scrivere qualcosa di simile su un altro personaggio, più facile da delimitare. Accenno a Michele Apicella. Parliamo spesso di Nanni Moretti, e sfiora il fatto che riflette da tempo sulla figura del suo alter-ego, e più ampiamente sul regista. Sono molto incuriosito e gli chiedo se in altra sede possa raccontarmi qualcosa e accetta. Riguardando i cinque film in cui è protagonista, noto perché ciò che lo caratterizza ha portato alla fine del personaggio. Così nasce questo articolo.

Premessa biografica

Michele Apicella, nato a Roma nel 1976 già ventitreenne. Alter Ego del regista Nanni Moretti, è sempre la stessa persona, seppur diverso per caratteristiche esterne, come la professione e le relazioni interpersonali. Occupazione: prima attore in un teatro sperimentale, poi studente fuori corso, regista, insegnante di matematica, pallanuotista ed ex dirigente del PCI. Nota: Le professioni cambiano con il naturale progredire dell’età. Stato familiare: rapporti conflittuali con la famiglia. A volte ne ha una, a volte no. Stato attuale: deceduto.

La coscienza collettiva

Cinque amici si riuniscono per l’ennesima volta in un salotto per un circolo di autocoscienza. Poter parlare liberamente e indagarsi, è la premessa di queste sedute. Questa però è l’ultima riunione, i sentimenti verso questi loro tentativi di capirsi meglio vengono espressi uno dopo l’altro: “non ho capito assolutamente niente di quello che è successo in tutta questa storia” dice uno di loro, “forse il nostro errore è stato pensare che questi nostri circoletti romani siano tutto il mondo” risponde un altro. E propone di sbarazzarsi del peso dell’autocoscienza e fare qualcosa di concreto; andare ad aiutare un’amica comune in difficoltà. Si salutano e corrono all’aperto. In tutta la città si sta ripetendo la stessa scena, tanti gruppi di giovani impegnati politicamente mollano la riunione per andare da quella stessa amica che sembra tutti conoscano. Le strade si affollano. Lungo il tragitto però ognuno si distrae: c’è chi si unisce ad una partita di calcetto, chi si riempie lo stomaco di frutta e dolci, chi si ferma incantato guardando ballare da lontano un gruppo di anziani. Nessuno arriverà dall’amica. Eccetto Michele. Che si ritroverà da solo con lei, senza dire una parola. Questa descritta è la scena finale del secondo film in cui Michele Apicella è protagonista, Ecce Bombo. In questo film Michele è sempre circondato da amici, così come nel film precedente, Io sono un autarchico. Conosce la solitudine solo a partire dal terzo film, Sogni d’oro. Tutto ciò che ritroviamo in lui e solo in lui nelle tre pellicole finali (Sogni d’oro, Bianca e Palombella rossa), nelle prime due è carattere generale condiviso con le persone che ha intorno. In tutti i film c’è qualcuno che guarda pieno di desiderio una danza senza parteciparvi. Se in Sogni d’oro, Bianca, Palombella è Apicella a non ballare, nei primi due film sono gli amici. Allo stesso modo in Io sono un Autarchico l’esercizio maniacale del controllo sugli altri, che in Bianca sarà la caratteristica principale di Apicella, è appannaggio di un amico teatrante. Nelle sue prime uscite, l’alter-ego morettiano è parte di una storia collettiva: quella di giovani che si trovarono a oscillare tra una fortissima insofferenza politica nei confronti dei dogmatismi della sinistra extraparlamentare, e la ricerca di un posto nella società degli adulti; ma già da subito è Michele a dettare la linea. Essendo autore ed attore, conserva l’autonomia narrativa, egli è veicolo di trasmissione di contenuti e di modi di interpretare le vicende. Gli altri personaggi servono a meglio focalizzarlo, prima in una dispersione identitaria, poi dando loro ruoli minori, con tonalità ironiche e caricaturali, in modo che attraverso i loro incontri possano dirci qualcosa della personalità del protagonista, che viene lentamente svelata e caricata di significati reconditi, pur lasciando taciuto il fondo, la parte insondabile. Da Sogni d’oro in poi, Michele resta solo, e si carica il peso non più condiviso dell’impossibilità di sentirsi realmente parte del tempo in cui è costretto. Dando adito a tutte le idiosincrasie che il personaggio rivela sempre più intensamente nel corso degli anni.

L’insoddisfazione

Il collezionismo, il cinema, la politica, i suoi giudizi. Le manie di Michele non provengono solo da se stesso, ma sono soprattutto dovute alla mancata risposta degli altri alle sue pretese. Per esempio: la notizia della cattedra di regia assegnata a Lina Wertmuller in Io sono un autarchico lo porta a una crisi di rabbia bavosa, proprio perché non rispetta la sua idea di cinema. Lo stesso sentimento, forse più pacato per necessità di dissimulazione, lo porta ad esasperare gli amici in Bianca, sicuro del suo ruolo di controllore delle relazioni altrui. “Gli attori sono la borghesia, le immagini il proletariato,[…] il cinema deve tornare a dedicarsi alle immagini” dice nel primo film “Le persone non dovrebbero lasciarsi mai”, nel quarto. Pretende un’immagine idealizzata della realtà che lui stesso non può rispettare. Il suo giudizio sul cinema, per esempio, richiama (con metafora politica) alla teoria tarkovskiana sull’emancipazione del linguaggio cinematografico dalle altre arti, ma il suo stesso cinema è fatto di attori e parole. Intromettendosi e reagendo, il protagonista è sempre riportato alla propria interiorità insoddisfatta. In ogni film il confine tra il reale e l’onirico è tanto fine da non distinguersi, tanto ben intrecciato dal montaggio, in un rapporto doloroso di autoanalisi che procede tanto in profondità quanto il degenerare della sua condizione prende il sopravvento. Lo sforzo che vediamo è quello di non voler adattarsi passivamente alla realtà, tentando di vincerla. Per restare in pertinenza psicologica, Freud scriveva che, “nevrosi e psicosi sono entrambe espressioni della nostra ribellione contro il mondo esterno, della nostra incapacità di adattarci alla realtà[…] nella nevrosi una parte della realtà viene evitata con la fuga, nella psicosi essa viene ricostruita ex novo ”(Nevrosi e Psicosi, 1923) . Michele soffre, rassegnato al suo dolore affinché conservi l’illusione di controllo che lo lega alla vita, seppur infelicemente. Le sue aspettative, quando frustrate, lo portano ad azioni incontrollate e agghiaccianti. In Sogni d’oro la fuga è rappresentata dall’incubo di diventare una sorta di doppio cattivo capace di liberare il protagonista dalla sua impotenza in un esplodere di mostruosità nei confronti della desiderata Silvia, che sempre in sogno gli rimprovera la sua aridità ed il suo narcisismo. Si vede mentre aggredisce le sbarre di un cancello che lo separano da lei. Michele sa di essere così. Il suo inconscio lo tormenta con la realtà. Anche di ciò che è, è insoddisfatto: il rifiuto dei ricordi delle tante cattiverie commesse mostrateci in Palombella Rossa (p.es. La gogna pubblica a cui costringono un ragazzino sedicente fascista), lo dimostra; “Io non ho espressioni dolci” si rammarica nel primo film. Ma da sveglio non può nulla contro se stesso, e sulle conseguenze che questo ha sugli altri.

La violenza e l’infanzia

“Ero a tavola con due che mi ossessionavano sul cinema. Poco prima mi ero sfogato contro di loro. Ora sono qui e c’è anche mia madre. Mia madre dice qualcosa che non mi va, e arrivo a picchiarla. Oggi me ne vergogno, ma non posso farci niente”. La scena è tratta da Sogni d’oro, ma la confessione l’ho inventata, nel modo dei tanti monologhi interiori del protagonista. Michele è un groviglio di nevrosi e idiosincrasie. Perentorio e manipolatore. E in moltissime scene vediamo le conseguenze di tutto questo. La violenza è sempre una risposta per Michele, non solo fisica, ma anche verbale. Il suo esplodere ha vari gradi. Può urlare contro qualcuno, anche uno sconosciuto, solo perché in disaccordo su un’inezia o perchè di malumore, così come può privare la sorella del diritto a manifestare o creare un rapporto con la moglie di un suo amico per ferirlo in Ecce Bombo. Violenze più subdole, certo, ma che s’inaspriscono fino all’assurdo: il pestaggio della madre in Sogni d’oro, e quello a vari personaggi in Palombella, fino all’omicidio, in Bianca. Il protagonista non sa controllare le sue pulsioni distruttive, non corrispondendo il mondo al suo assolutistico desiderio di perfezione. “Mi avevano deluso”, dice al commissario nella caserma di polizia alla fine di Bianca, “gli amici ti deludono, la gente normale no. A me piacciono le coppie felici, io li aiuto, li indirizzo sulla strada giusta, gli do consigli, però non li seguo più quando fanno quegli errori così stupidi. Cominciano a dirsi le bugie, poi si separano, poi tornano a stare insieme, ma è troppo tardi, perché ormai sono feriti, e cattivi, e allora non li voglio più vedere. Una volta era più facile giudicare, come con le scarpe […], ora è tutto più confuso, le cose non sono più nette. Gli amici non possono comportarsi così, perché io mica divento amico col primo che incontro, io decido di voler bene, scelgo e quando scelgo è per sempre”. Così confessa i suoi crimini. Distrutto dall’io, in un meraviglioso monologo sotto una finestrella che affaccia sulle scarpe dei passanti di fuori, in cui rivede anche la propria infanzia, quando osserva le scarpe di un bambino che per un attimo si fermano proprio lì, davanti al suo sguardo. Forse l’unica cosa che Michele davvero desidera è proprio il ritorno all’infanzia. Il desiderio è innocente, ma lo strugge. “Non torneranno più le merendine di quando ero bambino, i pomeriggi di maggio, non torneranno più, mia madre non tornerà più, il brodo di pollo quando ero malato, gli ultimi giorni di scuola prima delle vacanze…” Corre e urla a bordo piscina in Palombella Rossa… “L’origine delle modalità di relazioni di una persona, in questo caso di una particolare maniera di avere controllo sugli altri, di solito è da rintracciare nei rapporti con la figura di riferimento, nei rapporti con il caregiver, in quanto la regolazioni affettive, chiamate anche modalità di attaccamento, sono quelle che una persona porterà con sé anche in età adulta.” Mi spiega il medico. E continua:

La diagnosi

“La questione è molto complessa. Michele Apicella, in una psichiatria storica, sarebbe stato inquadrato come uno psicopatico, un disturbo che si manifesta con una personalità abnorme che causa sofferenza a sé e agli altri. Una diagnosi poco medica, in bilico tra un’osservazione clinica e una categoria morale. Oggi non è più utilizzata, ma quelle stesse dinamiche relazionali che caratterizzavano la psicopatia sono confluite in quelli che oggi sono i Disturbi di personalità di cluster B, in cui rientrano quattro disturbi, che sono: l’antisociale, il narcisistico, il borderline e l’istrionico. Al netto di quel che dicono i manuali diagnostici moderni (il DS-M), mi sembra che Michele Apicella rientri nei Disturbi di personalità di cluster B. Tenendo conto che nel DS-M, le categorie sono un insieme di segni e sintomi, finalizzate a standardizzare le diagnosi, e proprio per questo, spesso poco attinenti alla realtà dei fatti, poiché non permettono di comprendere cosa muova queste persone, la loro reale esperienza. Nei disturbi di personalità, ciò che è centrale è la relazione con l’altro, cioè essere-con-l’altro. E in quelli di Cluster B, questo essere-con-l’altro è declinato nella forma di una “cura inautentica” (come la chiamava Heidegger), cioè la dominazione sugli altri. Michele agisce così, in maniera differente in base al film, ma in tutte le pellicole utilizza l’altro per una propria regolazione emotiva e affettiva. In Ecce Bombo, quando vuol esser visto o non visto, l’altro diventa uno strumento affinché possa essere riconosciuto o non riconosciuto, considerato o non considerato. In Bianca è l’apoteosi della parabola psicologica. La gestione emotiva di Michele è autoregolata dalla decisione sugli altri su come questi debbano stare, vivere la propria vita privata e affettiva. Lo stesso in Palombella Rossa, dove in qualche modo deve dominare l’altro anche rispetto al modo in cui si esprimono o si approcciano a lui, sfociando sempre nella violenza, prima verbale e poi fisica, lì dove non basta lo sguardo a controllare ciò che gli è intorno, in modo che ciò che lo circonda corrisponda al come si aspetta e desidera sentirsi.”

Perché doveva morire

Negli anni Michele ha assunto una vita che è proseguita col naturale svolgimento che una psicologia così ben costruita era inevitabile facesse. L’individualismo estremo a cui giunge il personaggio è il punto di rottura in cui immagino il regista abbia dovuto scegliere. La separazione tra sé e il suo alterego subisce una contrazione. Michele arriva alla deriva del suo potenziale narrativo, un’identità così strutturata non poteva dare altro. O se avesse potuto, avrebbe impedito una crescita necessaria all’autore/personaggio. “Tu non sorridi mai” gli fa notare un’amica nel primo film, e si addolora di scoprirsi così attraverso gli occhi degli altri. La malattia in Palombella Rossa (l’amnesia retrograda) è un preludio della fine. Il film si dipana in ricordi e scene surreali che rappresentano il suo subconscio. Ormai Michele vive in frammenti di sé che lui stesso rifiuta, non ricordando e non accettando quei ricordi quando gli vengono raccontati. Non può più accordarsi con l’ambiente in cui dovrà vivere crescendo. La vittoria su se stesso è la morte del personaggio. La rottura definitiva che permetterà la nascita di Giovanni, nuovo alter ego, più maturo, e libero da qualsiasi costrizione stabilita negli anni. E così, mentre Michele muore, negli ultimi istanti dell’ultimo film, il se stesso bambino assiste alla scena, e ride del suo passato.

Nota finale

Sono consapevole di non aver detto tutto quel che si può dire su Michele, perciò è solo un’introduzione, un gioco, prendetelo così. Chiunque lo desideri, ci aggiunga tutto quel che vuole. Un ringraziamento al dottor L.G. per le preziose osservazioni mediche.

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