Worth e la nascita della haute couture

Un’invenzione sartoriale per vestire la Parisienne  

di Angela Zambarda


Nel 1890 un abito da sera nero, brillante e sfarzoso è creato per una donna altolocata. Doveva trattarsi di una donna interessata alla propria immagine, una donna accattivante e sensuale. Forse una Parisienne. Con quell’abito non sarebbe passata inosservata in mezzo alla gente, in un ricevimento come in un ballo. Proprio perché quell’abito elegante reca una griffe di un artista, ora sarto ora stilista, maître e créateur: Charles Frederick Worth, garanzia di autenticità stilistica e di innovazione sartoriale. La dama doveva esserne consapevole. E poteva permettersi di ostentare quella creazione sartoriale unica.

 

Foto di Charles Frederick Worth, Visite e Gonna, 1890, seta e pizzo di seta, Roma, Collezione Tirelli Trappetti

 

Di origine inglese, Worth favorì la nascita della haute couture in Francia dalla metà dell’Ottocento. Dopo vari apprendistati in aziende tessili in Inghilterra, si trasferì a Parigi, inizialmente, come commesso in un magasin de modes, da Gagelin. Poi, aprì una maison, gestita in società fino al 1858. In seguito, si stabilì in un atelier proprio, situato in Rue de la Paix, dove iniziò la sua fervida attività produttiva. Dall’atelier uscivano vesti elaborate, destinate alle dame più importanti del tempo. Nel giro di pochi anni ricevette commissioni da ogni parte del mondo, varcando i confini nazionali: dalla principessa Pauline von Metternich-Sándor, nipote del cancelliere von Metternich, all’imperatrice di Francia Eugenia de Montijo, fino alla regina inglese Vittoria e all’imperatrice Elisabetta d’Austria, per citare alcuni nomi. Worth riuscì ad acquisire notorietà attraverso una fitta rete di conoscenze, che si venne a creare, da un lato, attraverso le stesse dame altolocate o borghesi, che esibirono le sue invenzioni sartoriali durante i momenti più significativi della vita sociale. Dall’altro, attraverso sua moglie, Marie Augustine Vernet, che si prestò come modella, sin dall’inizio dell’attività sartoriale di Worth, al fine di mostrare i modelli creati.

La sua griffe circolò velocemente, tanto che negli anni Novanta del diciannovesimo secolo Worth raggiunse una fama internazionale nel campo della moda femminile. Poté, quindi, ritenersi un couturier affermato: il primo sarto che si firma e che si ritiene artefice delle sue creazioni. Dal momento in cui una dama entrava in società con un suo abito, si rendeva quasi un manichino, portava un Worth, segno di distinzione, oltre che di innovazione. Contribuiva a diffondere il nome, che altre dame avrebbero riconosciuto, immediatamente, come opera di Worth. E in questo fu geniale: compì un atto sociale, che sconvolse il “sistema” moda. Lui stesso ne era consapevole:   

“Il mio lavoro non consiste solo nella confezione, ma soprattutto nell’ideazione. La mia inventiva è il segreto del mio successo. Non voglio che la gente crei per sé; se lo facesse perderei metà del mio commercio”.

(citazione tratta da E. Morini, Storia della moda. XVIII-XXI secolo, Skira, Milano 2010, p. 124.)

 

Fino alla metà dell’Ottocento, erano le donne altolocate a guidare la sarta secondo il loro gusto, capriccioso ed eclettico, per definire uno stile proprio. Si può pensare al caso clamoroso della regina Maria Antonietta e al suo rapporto con la sarta personale Rose Bertin. Con Worth cambia la logica, i ruoli si invertono. Entra in campo la figura del couturier che è sia sarto sia stilista. È il couturier a delineare uno stile, a seconda del suo gusto e delle sue intenzioni.

Tornando alla creazione del 1890 per la Parisienne altoborghese, oggi conservato al Museo Civico San Domenico di Forlì, l’abito in raso di seta nero è composto da una gonna, che si contraddistingue per una crinolina dalla forma più contenuta rispetto a quelle in uso fino ad allora. Sul dietro è ampliata dalla “tournure”, una gabbia metallica che sostiene la gonna, elevandola di volume. Completa l’abito la “visite”, un doppio corpetto, steccato al suo interno: uno da giorno, unito a maniche lunghe ed elaborate, che è accompagnato con uno da sera, scollato, privo di maniche e ornato dal merletto. Il corpetto da giorno è a sua volta cucito a un colletto che potrebbe ricordare alcuni colletti a lattuga cinque-seicenteschi, nel segno di un lampante revival, a cui Worth volutamente alluse. Fu la stessa borghesia della Terza Repubblica che, una volta salita al potere, volle rifarsi ai secoli passati, al fine di legittimare la posizione sociale acquisita, atteggiandosi quasi a nuova aristocrazia, dopo aver scacciato il precedente regime monarchico di Napoleone III e di Eugenia.

Si trattò di un drastico cambiamento, seppur nei limiti concessi, rispetto alla moda femminile prodotta fino a quel tempo: Worth inserì negli abiti alcuni elementi innovativi, modificando la silhouette della donna. La sua operazione stilistica si acclimatò con il contesto socio politico. A quel tempo la nuova borghesia, che si imponeva vittoriosa in Francia, preferì agghindarsi in modo pomposo, scegliendo metri di tessuti pregiati per confezionare abiti appariscenti, oltre che lussuosi. L’aspetto esteriore doveva simboleggiare o alludere anche alla politica. 

Tuttavia, l’abbondanza di stoffa non si rivelò una novità sartoriale. Era già stata scelta in passato. Un esempio più vicino a Worth si può cogliere poco prima della Rivoluzione francese. A quel tempo, la moda poteva apparire “baroccheggiante” e affine allo stile della regina Maria Antonietta, a cui piacque la moda inglese. Robes à la française, gonfiate dalla crinolina, con gonne plissettate sul dietro e ornate da disegni floreali, erano indossate nelle varietà di forme e di disegni. 

Già all’inizio della sua carriera, quando era tornato di moda lo stile barocco-rococò, Worth cercò di moderare il gusto imperante, per meditare sulle sue future proposte stilistiche, che derivarono, in parte, dalla sua conoscenza della sartoria inglese. 

Lo stile di Worth si rivelò fin da subito innovativo. Diminuì la forma della crinolina, ampliando la gonna sul dietro, come breve strascico. Sdoppiò la gonna, formata da una sopragonna più corta (detta “tunica”) e da una sottogonna, che spesso erano in contrasto cromatico. In seguito, aggiunse al dietro la tournure, che nel corso del tempo subì varie modifiche. In questo modo, rese un po’ più sinuoso l’aspetto femminile, che seguiva l’andamento della gonna.  Nel corso degli anni Sessanta e Settanta, Worth sembra voler sperimentare due tipologie di abiti diversi: da un lato, l’abito princess, più aderente e dritto, confezionato come un unico pezzo; dall’altro, l’abito à la Josephine, a vita alta, abbondante di stoffa e drappeggiato sul dietro.   

 

Franz Xaver Winterhalter, Ritratto dell’imperatrice Elisabetta d’Austria, 1865, Vienna, Kunsthistorisches Museum

Se si vuole osservare un abito di Worth di quegli anni, si può ricordare quello appartenuto a Elisabetta d’Austria, Sissi. Nonostante non ci sia giunto l’originale, è possibile ammirare quell’abito in un dipinto, in cui il “pittore dei regnanti” Winterhalter lo ritrasse. Con quell’abito, Sissi sembra incarnare un’eleganza graziosa ma effimera. Un’eleganza irraggiungibile, quasi divina, che potrebbe rivelarsi fittizia, quasi vana, avvolta da un’aura di mistero. Sissi fu una donna rivoluzionaria, che sconvolse gli schemi, ma sparì nel nulla in modo altrettanto dirompente. Nel ritratto di Winterhalter l’imperatrice Elisabetta d’Austria sfoggia un Worth. Un lussuoso abito da corte, serale, di un bianco candido, in raso di seta e in tulle di seta puntigliato di stelle luccicanti. Il corpino è a vita alta, con maniche rigonfie e corte, che forse alludono alle maniche à gigot di fine secolo. Queste ultime lasciano scoperte le spalle, rivelandosi adatte a un momento pubblico, come un ballo o un ricevimento. L’abito di Sissi è collocato cronologicamente negli anni Sessanta del secolo, non solo per la stessa datazione del dipinto, ma anche perché ricorda un abito di Worth, esistente, del 1862. Questo è composto da due corpetti, a vita alta, profilati da una lieve scollatura. I corpini sono poi uniti a una gonna a balze, abbondante di stoffa e arricchita da tulle di seta crema, alternato ai piumini di cigno; il tutto è poi impreziosito da perline e da cristalli.  

 

Charles Frederick Worth, abito da sera, 1862 circa, New York, Museum of the City of New York, in E. Morini, Storia della moda. XVIII-XXI secolo, p. 128.

 

Verso gli anni Novanta, Worth compì un’azione più storicista, riportando alla memoria la moda sotto il re Sole. Reinserì la tournure, mentre modellò il corpetto, lungo fino ai fianchi, sia davanti sia dietro. La gonna doppia venne aperta sul davanti, drappeggiata sul dietro e arricchita da pizzi e da volant. I pizzi e i volant, come si può osservare nell’abito nero del 1890, appaiono cuciti al tessuto secondo una logica talmente precisa, che quasi irrigidiscono l’abito e rendono più ingessata la figura femminile. Nel 1890 il corpino worthiano ricorda ancora quello che introdusse negli anni Settanta, che imitava una corazza e costringeva il corpo femminile a una maggiore castigazione. 

In questa parte della veste si scorge la novità rispetto alle altre creazioni di Worth. Quel corpino così austero e costringente introduce un elemento maschile nell’aspetto femminile. Forse perché riflette un momento storico particolare, in cui il ruolo della donna è messo in discussione. Attraverso il suo aspetto si vuole esternare quel sentimento sociale. La donna non è più vista come fedele moglie, bensì come femme fatale, che seduce e ammalia un baudelairiano flâneur. Quel corpetto però rivela dei limiti, poiché sembrerebbe esprimere anche l’opposto. In effetti, la donna appare ancora prigioniera di quella costrizione fisica, dovuta alla forma asfissiante del corpino steccato. Il corpetto-corazza di Worth si fa portavoce del ruolo sociale femminile, che ora è messo in discussione. Potrebbe ricordare le eroine dipinte dal contemporaneo Gustave Moreau, come propongono gli storici Fabbri e Morini. Nei suoi dipinti Moreau guardò ai miti classici con lo spirito del pittore romantico e dipinse le eroine del passato secondo un’ottica moderna. 

Allo stesso modo gli abiti di Worth ricordano le eroine del passato, assecondando la nuova ideologia sulla donna del suo tempo. Nonostante le forme costringenti dell’abito, la dama che indossa un Worth riesce a sedurre come una femme fatale, come una Circe moderna. Se si osserva un affresco cinquecentesco di Pellegrino Tibaldi che vede Circe protagonista, si può comprendere l’intenzione di Worth. Il corpino-corazza sembrerebbe volgere proprio in questo ambito, alludendo alla Circe eroica, dalle sembianze mascoline. Una femme fatale, un’eroina che però resta confinata nel suo mondo, prigioniera di quella stessa arma seduttrice.  

 

Pellegrino Tibaldi, Ulisse e la maga Circe, (ca. 1550), affresco, Bologna Palazzo Poggi (The Art Archive / DeA Picture Library / A. De Gregorio) in Irene Berti, Le metamorfosi di Circe: dea, maga e femme fatale, in Status Quaestionis, 2015, 1 (8), p. 128.



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