Corpi liquidi, biografie al confine

di Lara Gigante


Se, come sostiene Bauman, la modernità consiste nella mutazione, due padri dell’avanguardia del secondo Novecento scomparsi di recente hanno sperimentato più di altri l’essere moderni in quell’incerto e perenne divenire che è la ricerca identitaria. Si tratta di due artisti diversi tra loro per approccio, ma con il comune denominatore di aver sottoposto il proprio corpo a una nuova genesi, mediante un percorso artistico che li ha resi pionieri della performance e della body art.

Identità familiare rifiutata, identità individuale da rintracciare, coscienza collettiva, relazione con il proprio corpo, accettazione ed esplorazione dello stesso: le questioni che hanno interessato e centralizzato la ricerca artistica di Ulay sono vertebre della spina dorsale della nostra era. 

Noto ai più come storico ex performer di una ieratica Marina Abramovic, Ulay, al secolo Frank Uwe Laysiepen nasce sotto i bombardamenti alleati a Solingen nel ’43. Figlio di un gerarca nazista, autentico peccato originale, farà i conti per tutta la vita con questa condizione. Ulay cresce scisso, insieme con la frattura di una Germania divisa. Apolide, quindi fin da principio “tedesco senza Germania”, come lui stesso si definiva, rinuncia al suo vero nome e cambia nazione, non prima di aver lasciato moglie e figlio. Si autorigenera in quello che sembra un processo creativo, ma che è di più, andando di pari passo con l’esplorazione delle sue espansioni di personalità.

La definizione della sua identità, sfuggente e orfana, corre sui binari di un’attiva partecipazione alla vita sociale e politica. L’incontro con il collettivo anarchico Provo, incubatore di controcultura e azioni performative dallo spirito anticonsumista, diventa la sua misura della coscienza collettiva. Durante la sua permanenza in Olanda, la sua ricerca identitaria, tra proteste politiche e rivolte sociali, viene folgorata dall’incontro con la fotografia analogica di  Jurgen Klauke. La fenomenologia del mezzo fotografico lo attrae e fotografare la vita quotidiana diventa un atto politico; una scelta visiva, mai estetica quanto, piuttosto, etica. Ulay si concentra sui margini, sul metamorfismo per eccellenza, i borderline di genere, i transessuali, i travestiti, tutti coloro i quali trasformano i confini labili in una matrice nuova.

L’omosessualità e la promiscuità fluida assumuno un valore sostitutivo, sono capaci cioè di sciogliere l’aggressività politica e comportamentale. Ulay inizia a trovare la sua traccia nella fotografia, con uno sguardo originale, testimone di un nuovo rinascimento; e Renais sense è infatti il nome della sua prima serie di polaroid che nel 1974 costituisce il suo esordio da artista. Attraverso un processo costante di sperimentazione, Ulay scopre dentro di sé una sensibilità femminile che cerca di esprimere attraverso la fotografia. Una dicotomia che azzera ruoli familiari, diktat sociali, ansie da prestazione, confinando le rigide categorizzazioni della società consumistica a mera archeologia.

Ulay, dunque, compone il proprio algoritmo genetico attraverso un esercizio di auto-riconoscimento. Lo dimostra anche nelle sue Autopolaroid: molte istantanee lo ritraggono vestito e truccato per metà del corpo, vivisezionato dallo sguardo riflesso. L’artista si concentra sulla rappresentazione dell’androginia: il raggiungimento di un’unità che porta a trovare se stessi attraverso la fusione con l’altro, la persona amata. Sceglie titoli ad alto impatto evocativo: “S’he” o “Pa-Ulay” (ispirato al nome di Paula Françoise-Piso, artista con cui aveva una relazione) e li mette in scena dividendo, truccando e vestendo il suo corpo metà uomo, metà donna. Da qui, apre il varco all’identità moderna di cui siamo diretti eredi, anticipando questioni contemporanee cruciali come identità di genere e liquidità.

Quando la sua scrittura fotografica ha bisogno di materia per creare un nuovo dna, avviene l’innesto con la body art. Con Fototo, serie di performance presso il De Appel, big bang artistico fondato da Ulay e personalità del calibro di  Laurie Anderson, Gina Pane, Vito Acconci, l’identità diventa costante paradigma per riflettere sulla vulnerabilità dell’individuo moderno e sul suo in der welt sein, il suo essere al mondo. Il corpo del performer si inserisce in un gioco di sovrapposizioni, tra foto alle ombre di corpi e proiezioni delle stesse. Nessuno è più identificabile. Il paradosso linguistico si fa oggetto ed estremizza artaudianamente le possibilità conoscitive dell’essere. La filosofia si fa materia. Il corpo, personale e oscuro gioiello di carne, diventa mezzo elettivo, consacrato dal gesto. La trama identitaria, in un inarrestabile divenire, allarga le sue maglie a concetti come il dolore e la percezione dell’altro. Diventa naturale per Ulay, quindi, sperimentare i limiti dello scheletro, dei muscoli e della resistenza fisica; scardina le forze pulsionali dell’io per dematerializzare il concetto di arte. L’opera non solo non è finita, ma è consegnata al visitatore nell’esigenza di una discussione non degli oggetti, ma delle emozioni. Sono anni in cui l’interesse per la corporeità va intensificandosi e numerosi sono i performer e i bodisti che tentano un percorso cognitivo ed espressivo in questa direzione. Il sistema dell’arte ha abbandonato la rigidità del quadro appeso al muro e vuole investigare nuovi elementi di significazione.

L’incontro con Marina Abramovic non fa che radicalizzare la ricerca sotto questo segno. Le Relation Works inseriscono la relazione di coppia nel fattore identitario, in un climax combinato tra necessità e nuove consapevolezze: AAA-AAA racconta del rapporto tra due amanti con un sopraffarsi sonoro di voci; mira alla nascita di una terza entità A Relation In time, in cui è messa in scena l’unione cosmica del maschile e femminile seduti spalla a spalla legati per i capelli. Breathing spinge il corpo oltre le sue possibilità, al punto che il paradosso della dualità diventa la condivisione, bocca a bocca, del respiro per venti minuti, fino allo svenimento. L’identità propria scivola in quella dell’altro, seguendo solo le regole della fluidità e dello scambio dialettico e simbolico: il corpo è il medium prescelto. Nonostante un forte minimalismo formale, le loro performance fanno la storia, muovendosi abilmente sempre tra stupore e una certa autocompiacenza del rischio.

La serie di studi e atti performativi di questi anni, dal 1976 al 1988, rendono però  rarefatta la necessità di Ulay di trovarsi e riconoscersi. Questa verrà recuperata solo una volta messa alle spalle la grande muraglia cinese e la sua tormentata relazione. Da questo momento, per tutta la durata degli anni ’90, l’artista torna a percorrere la propria strada di fotografo di performance e di società, ponendo attenzione alle dinamiche sociali e all’identità etnica messe in discussione da nazionalismo e discriminazione. La serie Polagram raccoglie fotografie che testimoniano il senso di perdita e dissolvenza identitaria dell’artista, attraverso istantanee sfocate di sé stesso, come ad entrare fisicamente nella macchina per ritrovarsi.

Quando gli viene diagnosticato un cancro, dopo il trasferimento a Lubiana, la ricerca di Ulay allarga lo sguardo facendo coincidere il senso di appartenenza identitario a quello cosmico delle risorse della terra. ll progetto a carattere ambientale del 2012, Earth Water Catalogue è una raccolta di contributi multimediali sul valore dell’elemento acqua. La questione dell’identità rimane però centrale e, anzi, viene ripresa in Anagrammatic Bodies, testamento di una nuova morfologia e sintassi del genere umano: qui Ulay riassembla i frammenti della propria immagine con parti di altre persone, arrivando all’ibrido di genere. Quando dal 2011 al 2013 realizza il documentario Project Cancer, è certo che quello sarà il tempo rimasto alla sua vita; ripercorre così la sua carriera attraverso luoghi e persone che vi hanno contribuito realizzando, a tutti gli effetti, un memoriale su di sé e sull’arte. La malattia viene trattata come il progetto più grande della sua vita, e forse, solo nel giorno della scomparsa di Ulay, lo scorso 2 marzo, si risolve definitivamente la sua ricerca esistenziale secondo cui “l’estetica senza etica è solo cosmetica”.

Più controverso è il percorso artistico di Genesis P-Orridge, nato a Manchester nel 1950. All’anagrafe Neil Andrew Megson, questi si pone come un adolescente che disintegra la sua identità natale in piena epoca neopuritana, per costruirsi opera d’arte in fieri.

P-Orridge inizia a rivoluzionare il concetto di arte performativa nell’Inghilterra del 1969. Con il progetto collettivo COUM Transmission da lui stesso fondato, dà vita ad una serie di performance che suscitano definizioni al vetriolo da parte di tutta la stampa scandalistica inglese. “Degenerato e privo di morale”, “satanista”, “invasato seguace delle nefandezze più atroci” sono solo alcune delle definizioni guadagnate con gli art-act di cui il gruppo è protagonista, come il radicale Prostitution. Al centro del loro mattatoio di ricerca si trova il corpo che subisce scarnificazioni, atti autolesionistici con chiodi e attrezzi di tortura, materiali organici di scarto.

La sperimentazione della body art è ad un punto di non ritorno, oltre i confini estetici ed etici. La necessità di richiamare lo spettatore a una riflessione sulle proprie emozioni, sollecitando vizi e virtù, tabù e pregiudizi viene scalzata da una violenta accelerata, facendo sì che l’atrocità del reale venga sbattuta crudamente in faccia al pubblico. L’obiettivo del giovane Genesis è quello di divellere i tabù presenti nella società, rappresentandoli attraverso un sistema reiterato di shock. La crudeltà delle performance è proporzionale alla crudeltà del reale che come un boomerang, parte dall’esistente, arriva all’artista e da questi è restituito al mondo.

Durante gli anni ’70 la personalità carismatica e recettiva del giovane inglese avverte le tematiche angosciose del periodo di contestazione, dei movimenti di liberazione sessuale e femministi, e ne ricava un’idea. Per costruire liberamente l’identità dell’individuo è necessario decostruire brutalmente tutto il sistema di valori di cui l’uomo occidentale è intriso. La morbosità di temi riguardanti la pornografia, la sessualizzazione estrema del corpo, vengono letteralmente lanciati addosso al pubblico, rappresentandoli in maniera diretta perché vengano rifiutati, ritrovando un senso primitivo e rituale, libero dalle repressioni convenzionali. Tra il 1969 e il 1976 con COUM Transmission P-Orridge porta avanti l’urgenza patologica di una rinascita, di un nuovo creato, con oltre 146 azioni in 6 stati diversi e oltre 30 mostre permanenti. La fantasia nichilista dell’artista estremizza qualsiasi possibilità il corpo offra, sempre al limite tra voyeurismo ed esibizionismo. Disorienta i suoi spettatori indossando uniformi militari e tenute sadomaso per poi sublimarsi catarticamente, in vesti bianche e candide, come a significare che l’edulcorata liberazione del corpo è avvenuta. Una “liberazione” annunciata, visto che è lui stesso a dichiarare in un comunicato stampa l’intento identitario dei suoi progetti, quando nel 1976 COUM Transmission vira verso la sperimentazione sonora, dando vita ai Throbbing Gristle:

Throbbing Gristle è un’esibizione di stile di vita, una costante ri-valutazione di tutti i valori e pensieri, un pensiero organico di progressione ed espressione di sé. 

Allontanandosi dalle gallerie d’arte, il progetto si rivela essere il capostipite della musica industriale e al contempo amplificatore delle questioni già trattate in precedenza. Il volontario tentativo di fuoriuscita riesce particolarmente bene, considerando che per molto tempo rimane un’icona confinata solo all’interno di una nicchia di devoti alla musica industriale e alle sottoculture underground. Nel desiderio di una continua espansione di sé, Genesis si appassiona all’esoterismo di Aleister Crowley: riscopre il tribalismo, la magia sessuale e, ancora una volta, approfitta del suo corpo come veicolo di modificazioni attraverso aghi, piercing e tagli.

Ma tutto è in divenire e tutto si tramuta. Così, sciolti i Throbbing Gristle, partorisce nel 1981 la sua definitiva creatura: gli Psychic Tv, macchina mutante in cui suono, body art e ricerca identitaria si uniscono all’esoterismo. Il rischio e l’oltraggio diventano strategia di pensiero, e così fioccano denunce per oscenità, che lo costringono ad abbandonare la madre Inghilterra e a volare a New York. Sono anni densi di fermento e la sperimentazione stupefacente e allucinogena scandisce l’acquisizione di nuove consapevolezze. Attraverso stati ipnotici e sotto effetto di ecstasy, Genesis esegue azioni estreme di sado-masochismo e auto-mutilazione, oltrepassando qualsiasi limite esplorato dalla body art, anche dalle performance intense, ma liriche, che Ulay, più o meno negli stessi anni, praticava nelle gallerie di tutto il mondo. Gli Psychic Tv si rivelano solo la parte più in vista di un progetto che va oltre la semplice band, seguendo coordinate di studio socio-antropologico-esoterico praticato per creare un network tra artisti e affiliati. 

Mentre la riscrittura identitaria rimane centrale, l’ormai affollato mondo della performance e della body art si rivela insufficiente alle aspirazioni di Genesis, che, quindi, riversa una parte della sua cosmografia nel metodo cut-up, tipico dei collage e della mail art. Come i coltelli tagliano la carne, così le forbici ritagliano immagini e parole. Le sue opere di assemblamento sono molte, realizzate con polaroid che lo ritraggono in atti performativi, in convivenza con ritagli di elementi tribali e nuove tecnologie. In lotta con una società fortemente inibitoria, l’artista inglese trova il suo linguaggio nell’arte primitiva e rituale. Non è insolito trovare cartoline della famiglia reale inglese con inserti di immagini pornografiche esplicite. Quello che l’arte dada e surrealista aveva creato attraverso le sovrapposizioni di icone e simboli, per Genesis diventa smembramento del dna, sentito come trappola. L’istantanea polaroid sembra essere la carta da telex di una scrittura simultanea e comune agli artisti del periodo. Come per Ulay, anche per Genesis, se pur con approcci profondamente diversi, questa pratica fotografica si rivela efficace a restituire immediatezza dell’azione, utile, quindi, a creare un mosaico identitario.

Quando incontra e sposa Lady Jaye (Lady Jacqueline Mary Breyer) nel 1995, il suo tormentato e ascensionale percorso di ricerca, trova la soluzione definitiva nella fusione di generi: la pandroginia. Le sue creature ermafrodite, fino a quel momento solo immaginate, trovano finalmente forma nel varco liquido di una nuova sessualità. Quello che Ulay aveva sublimato con il progetto Pa-Ulay e S-He, diventa azione concreta. I due amanti, come testimonia il film The Ballad of Genesis and Lady Jaye, subiscono una serie di interventi chirurgici per diventare l’un* l’immagine dell’altr*.  

Da questo momento in poi Genesis, si riferisce a se stess* come lei/lui, fino ad assorbire anche il nome della moglie all’interno del proprio. Un progetto a metà strada tra politica e romanticismo a cui la galleria Invisible-Exports di New York ha dedicato una retrospettiva, 30 Years of Being Cut Up, e di cui, nel 2009, la Tate Britain ha acquistato l’archivio di immagini, lanciando un importante segnale di attenzione da parte dei “luoghi ufficiali” per l’operato dell’artista.

La morte di Lady Jaye e l’avanzare della leucemia arrestano fatalmente l’attività creativa dell’artista; lo scorso 14 marzo, infine, segna la data in cui è venuto a mancare ciò che per anni Genesis ha ritenuto essere la sua unica gabbia: il corpo fisico.

Ciò che rimane di questo interregno chiamato modernità, per ritornare a Bauman, è la condizione acclarata di incompiutezza di cui molti sono gli interpreti, ma pochi i protagonisti. A differenza di precedenti epoche storiche “solide” in cui gli individui aspiravano, o potevano aspirare, al controllo del proprio futuro e ad uno stato di perfezione, attraverso ruoli stabiliti, a noi il futuro appare completamente ignoto e oscuro, tutto è possibile, ma nulla è certo. In questo mare di fluidità Ulay e Genesis P-Orridge hanno tracciato con le proprie vite un pecorso di rigorosa coerenza.

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