Perdere i contorni

Foto in copertina di Pierpaolo Lippolis

di Silvia Frigeni


Seduti ai tavoli di un caffè ad Atene, due insegnanti di un corso di scrittura creativa si stanno scambiando pareri sulla vita e sulla letteratura. L’uomo, Ryan, sostiene che il mestiere di scrittore sia come il matrimonio: «costruisci un intero edificio su un periodo di passione che non si ripeterà. È la base della tua fiducia e qualche volta ne dubiti, ma non ci rinunci perché gran parte della tua vita è fondata su quel terreno.»

La sua interlocutrice non sembra convinta della disinvoltura autoassolutoria con cui lo sposato Ryan guarda la bella cameriera che li serve. Le ricorda una scena a cui ha assistito in passato, «una serata trascorsa in un bar qualche anno prima, insieme ad altre persone, tra cui una coppia sposata che non conoscevo. La donna continuava a individuare ragazze attraenti e ad attirare su di loro l’attenzione del marito; se ne stavano lì seduti a commentare gli attributi delle varie ragazze, e se non fosse stato per la smorfia di profonda disperazione che colsi sul viso della donna quando pensava che nessuno la guardasse, avrei creduto che fosse un passatempo che divertiva entrambi».

Si tratta di uno dei molti passaggi in cui Resoconto (Einaudi 2018, traduzione di Anna Nadotti) mette insieme due delle questioni fondamentali del libro: la crudeltà delle persone e il fallimento delle relazioni sentimentali.

La voce narrante, nonché protagonista del romanzo, è una scrittrice di madrelingua inglese che vive a Londra, e che durante un’estate va a tenere un corso di scrittura creativa ad Atene. Altre informazioni su di lei (che è divorziata, che ha dei figli, persino il suo nome di battesimo) compaiono quasi in sordina, come la voce della narratrice: ogni capitolo ruota intorno a uno o a più personaggi e alla loro storia.

Il ruolo di Faye (è il nome della protagonista) sembra essere quello di semplice ascoltatrice e commentatrice di questi resoconti. Vi è stata vista una metafora del lavoro letterario: in qualità di scrittrice e insegnante, la narratrice diventerebbe l’editor dei resoconti che ascolta. Le osservazioni di Faye non riguardano però l’estetica o lo stile, ma sono soprattutto di tipo morale. Le incongruenze e i buchi di trama sono per lei la spia delle sofferenze di altre persone, di piccole e grandi crudeltà, delle bugie che i suoi interlocutori vogliono far credere a sé stessi e agli altri. In un’intervista uscita su Repubblica, riferendosi a chi l’aveva definita più interessata alla bellezza formale che alla morale, Cusk afferma che «la bellezza formale è necessaria: ogni opera deve avere fascino. Ma la morale per me è la cosa più importante. Chi lo ha scritto mi ha fraintesa, si è fermato alla superficie».

Il comportamento di Ryan e della coppia nel bar sono un esempio di quella crudeltà inconsapevole, spesso esercitata a spese delle persone amate, che la narratrice scova nei resoconti, con l’orecchio attento di chi sa già cosa aspettarsi dai rapporti umani. Faye è convinta che quasi tutti gli adulti siano egoisti: quando sale sull’aereo che la porterà ad Atene, dopo aver ascoltato le istruzioni di sicurezza relative alle maschere di ossigeno, nota che «nessuno ha protestato o espresso il proprio disaccordo con la disposizione di occuparsi degli altri solo dopo essersi occupati di sé. E della cui fondatezza io dubitavo». La stupisce invece il comportamento del suo vicino di posto, che dopo averle fatto il resoconto della sua vita si ricorda di chiederle di parlargli di lei: «si è messo a farmi domande, come se gli avessero insegnato a ricordarsi di farlo, e io mi sono chiesta chi o cosa gli avesse impartito tale lezione, che alcune persone non imparano mai».

resoconto

A essere particolarmente colpiti dall’immoralità delle persone sono i rapporti sentimentali, soprattutto i matrimoni. In Resoconto abbondano le descrizioni di relazioni finite male: all’egoismo e alla mancanza di attenzione all’altro si sovrappone quello che uno dei personaggi definisce «l’indelebile disgusto esistente fra uomini e donne». Nemmeno la ricerca della verità, l’onestà praticata con sé stessi e nel resoconto che si dà di sé, può riuscire a dare pace: al contrario, l’esercizio della sincerità serve solo a rivelare le imperfezioni non sanabili dei rapporti umani.

Il termine italiano «resoconto» non riesce a rendere il titolo originario (Outline) nella sua ambiguità. L’outline è il racconto sommario, la bozza, ma anche il profilo grafico, il contorno delineato di cose e persone. Nell’ultimo capitolo, la protagonista è una sceneggiatrice teatrale la cui esperienza ricorda quella della narratrice. Anche lei ha ascoltato il resoconto di un uomo seduto vicino a lei in aereo, e ha scoperto che i dettagli della sua vita hanno delineato «qualcosa di fondamentale, non su di lui, ma su di lei»: ogni esperienza di vita raccontata da lui l’ha definita per contrasto, costituendo «il resoconto di ciò che lei non era». «Mentre lo ascoltava, aveva cominciato a vedersi come una sagoma, un abbozzo, i cui contorni erano completi in ogni dettaglio mentre l’interno restava in bianco. Ma per quanto il contenuto rimanesse ignoto, quella sagoma le dava, per la prima volta dopo l’incidente, un’idea della persona che era adesso». Nell’originale inglese, sia «resoconto» che «abbozzo» sono espressi dal termine outline. Non a caso: tramite i loro resoconti, le persone si delineano in un abbozzo incompiuto e tracciano il confine della loro identità rispetto a quella degli altri, mentre la verità di ciò che raccontano rimane a un livello più profondo, quasi inaccessibile.

La mancanza di contorni tra sé e gli altri è il problema attorno a cui ruota la vicenda della narratrice, nonché la prospettiva da cui parte il suo giudizio morale. L’origine di questa perdita di forma è in un dolore personale. Del divorzio di Faye non si sa nulla: il lettore può soltanto assistere al racconto della sua prostrazione. Guardando dal di fuori la vita di una famiglia al mare, che rappresenta ciò che non ha più, la narratrice si rende conto dell’impatto che la testimonianza delle vite altrui ha su di lei. «Era come se avessi perso una qualche speciale capacità di filtrare le mie stesse percezioni, una capacità di cui mi ero resa conto solo dopo che era svanita […] stavo cominciando a vedere le mie paure e i miei desideri manifestarsi fuori da me, a vedere nella vita degli altri una cronaca della mia».

La risposta della narratrice a questa irruzione delle vite degli altri nella propria, a questa perdita di contorno fisico, è la passività, il «vivere una vita contrassegnata il meno possibile dall’ostinazione». In questa passività rientra la sua visione pessimista dei rapporti sentimentali. Esaurita ogni possibilità di essere felici, tanto nella menzogna quanto nella verità, l’unica soluzione che il romanzo offre è il distacco, e la conseguente fine della relazione.

Più che fornire un nuovo modello alla narrazione contemporanea, Resoconto sembra voler dare una versione romanzesca di una tragedia euripidea. Diversi sono i tratti in comune: l’ambientazione greca, la dimensione psicologica del racconto, che si svolge attorno al turbamento interiore della protagonista, la scelta di descrivere gli eventi narrati lasciando l’azione fuori dalla scena, l’importanza della morale. La folla di personaggi che circonda la narratrice è un vero e proprio «Greek chorus», come da titolo della recensione del Guardian: non soltanto per la nazionalità di molti di loro ma perché, per stessa ammissione della narratrice, nei loro resoconti ritornano le sue paure e i suoi desideri. L’outline è allora la stessa Faye, che ricomprende in sé i resoconti ascoltati e li fa propri: le voci altrui diventano il mezzo tramite cui può raccontare la sua verità, se non la sua storia.

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