Memoria, Esilio e la Poetica del Tempo: Nostalghia di Andrei Tarkovsky

In copertina: Un fotogramma dal film Nostalghia di Andrei Tarkovsky (1983)

 

“Dove sono? Quando non sono nella realtà e neanche nella mia immaginazione?”

di Brechtje Polman


Nostalghia di Andrei Tarkovsky ci invita in un viaggio contemplativo attraverso la memoria, la perdita e l’identità. Uscito nel 1983, è stato il primo film del regista sovietico realizzato al di fuori della sua terra natale, dopo il suo autoesilio dall’Unione Sovietica. Ancora oggi è non solo uno dei suoi lavori più personali, ma anche uno dei più meditativi, una riflessione cinematografica sull’esilio, la ricerca di significato e il trascorrere del tempo. Il termine nostalgia assume nel film un significato particolare: non è solo un desiderio per il passato, ma uno stato esistenziale, radicato nella nostalgia e nel disorientamento culturale dello stesso Tarkovsky, ambientato in un’Italia che gli appare straniera. I paesaggi desolati, ripresi con i lunghi piani-sequenza caratteristici di Tarkovsky, evocano un senso di isolamento e aridità spirituale. Il film condivide una parentela visiva con i lavori di Michelangelo Antonioni (L’Eclisse) e Federico Fellini (La Strada), nella rappresentazione di una quiete post-apocalittica, un mondo svuotato di significato e connessione. In contrasto con le strutture narrative convenzionali del cinema occidentale, l’uso di Tarkovsky dei lunghi piani-sequenza, molti dei quali si sviluppano con un ritmo lento e sognante, trascina lo spettatore in uno stato di contemplazione. La lentezza del ritmo rende il tempo un elemento tangibile nel film, incoraggiando un coinvolgimento più profondo con i temi della memoria, della perdita e dell’esilio spirituale. L’uso del colore, che oscilla tra chiaroscuri onirici e calde tonalità terrose, crea un contrasto tra passato e presente, memoria e realtà. Questo sottile gioco cromatico riflette le meditazioni del film sullo sradicamento temporale e psicologico.

Il protagonista del film, Andrei Gorchakov (interpretato da Oleg Yankovsky), è un intellettuale e poeta russo in Italia, alla ricerca delle tracce di un altro russo, il compositore Pavel Sosnovsky, esiliato secoli prima. Tuttavia, la ricerca di Gorchakov è meno rivolta a Sosnovsky e più alla sua propria identità e appartenenza, un motivo ricorrente nell’opera di Tarkovsky. Nostalghia si svolge all’interno della cripta buia di una chiesa, dove Eugenia, l’interprete e guida di Gorchakov, cammina con i tacchi che risuonano lungo un sentiero acciottolato. Mentre discende nella cripta, una solenne processione che porta un’immagine della Madonna si avvicina. Una donna in preghiera apre la veste della Madonna, da cui un gruppo di colombe si libera, le ali che battono mentre volano nelle ombre. Questo momento, con il suo simbolismo onirico, risuona come una metafora del film stesso, riflettendo i temi della resurrezione, dell’esilio e del desiderio spirituale. Seguiamo i passi di Gorchakov lungo Bagno Vignoni, un antico bagno termale in Toscana, che diventa uno spazio liminale dove i confini tra passato e presente si confondono. Questo scenario incarna lo stato psicologico di Gorchakov, che, come l’acqua, scorre tra i mondi: tra la sua patria e il suo luogo di esilio, tra la vita e la morte, tra la memoria e la realtà. Le acque di Bagno Vignoni fungono da specchio della coscienza, dove i ricordi nostalgici fluttuano e affondano. Il lento gocciolio dell’acqua, un sottofondo sonoro ricorrente nel film, crea un ritmo meditativo e ipnotico che rafforza la filosofia tarkovskiana dello “scolpire il tempo”. Il tempo nei film di Tarkovsky non è lineare; scorre e rifluisce, piegandosi su sé stesso come gli strati della memoria. Il suo uso dei lunghi piani-sequenza, unito alla ripetizione dell’immagine dell’acqua, sfuma i confini tra il mondo esterno e i meccanismi interiori della mente. Modellando il tempo in questo modo, Tarkovsky costruisce un film che invita lo spettatore a entrare in uno spazio di introspezione spirituale, dove i confini tra passato e presente, vita e morte, si confondono. Gli scritti di Gilles Deleuze sul cinema del “tempo-immagine” offrono un utile quadro per comprendere il trattamento tarkovskiano della memoria in Nostalghia. Secondo Deleuze, i film di Tarkovsky interrompono le nozioni convenzionali di tempo e memoria, creando un’esperienza cinematografica in cui passato e presente coesistono, proprio come i ricordi persistono nella nostra coscienza. Questa fluidità temporale sottolinea l’esilio emotivo e spirituale del protagonista, mentre oscilla tra il ricordare il suo passato e il confrontarsi con l’aridità del suo presente.

Da http://nostalghia.com

Da nostalghia.com

La casa di Gorchakov si staglia come un labirinto di spazi sospesi, dove l’interno e l’esterno si mescolano in un abbraccio incomprensibile. Non c’è tetto a difendere dalle intemperie, e quando il tetto esiste, è solo per lasciare che la pioggia lo tradisca, invadendo il pavimento e trasformandolo in una laguna silenziosa, riflettente. Le viti si arrampicano liberamente, crescono in ogni direzione, come se l’architettura stessa fosse stata inghiottita dalla natura. Poche tracce suggeriscono dove si trovino i personaggi; a volte, appaiono come ombre contro la luce abbagliante che penetra dall’esterno, dissolvendosi nell’incertezza dello spazio. La porta è solo un telaio, una cornice vuota senza confini reali. Non esiste divisione netta tra le stanze; è tutto un grande spazio indistinto, unito, separato appena da colonne e da qualche mobile sparso, come se i confini fossero soltanto un’illusione. Prendendo la nozione di cronotopo di Mikhail Bakhtin, ovvero l’idea che il tempo e lo spazio siano inseparabilmente legati nella narrazione, sostengo che Tarkovsky costruisca un dialogo tra Russia e Italia, passato e presente, memoria e luogo. Il senso di esilio di Gorchakov non è solo una condizione geografica; è uno stato spirituale ed esistenziale. L’Italia raffigurata in Nostalghia è fatta di rovine e paesaggi desolati, uno spazio d’esilio che riflette la disintegrazione interiore di Gorchakov. Egli abita uno spazio liminale, sospeso tra il ricordo del suo passato russo e la realtà della sua presenza fisica in Italia. Tarkovsky ha spesso ritratto la nostalgia come una malattia dell’anima, una condizione che trascende la semplice dislocazione geografica. Il malessere di Gorchakov, caratterizzato da un profondo desiderio per la Russia, riflette la convinzione di Tarkovsky che l’esilio possa lacerare l’anima, creando una frattura tra la casa fisica e quella spirituale. Il linguaggio visivo e sonoro del film rafforza questo senso di dislocazione. Durante il film, sentiamo costantemente canti popolari in sottofondo, come ricordi d’infanzia che riecheggiano nella nostra mente. Come esseri umani, continuiamo a cantare perché vogliamo aggrapparci ai ricordi che non vogliamo dimenticare. Nei film di Tarkovsky, non solo le persone, ma anche i luoghi, le case e le stanze sono spesso personaggi centrali, dipingendo magistralmente la scena e lasciando che l’ambientazione parli da sé. Nonostante, il dialogo poetico deve molto al contributo dello sceneggiatore Tonino Guerra, amico e collaboratore di lunga data di Tarkovsky, noto anche per i suoi lavori con registi come Fellini e Antonioni. La sceneggiatura di Guerra si intreccia con la sensibilità visiva di Tarkovsky, mescolando riflessioni filosofiche con una qualità lirica che aggiunge profondità ai temi dello sradicamento e del desiderio esistenziale.

Da bambino mi ammalai 
di fame e di paura. 
Mi scorticai le labbra,
ne staccai delle croste dure 
e mi leccai le labbra. 
Ricordo ancora quel sapore, 
salato e fresco.

La preoccupazione di Tarkovsky per il decadimento—sia esso sotto forma di architettura in rovina o di paesaggi abbandonati—riflette un’ossessione per la disintegrazione, a livello sia personale che collettivo. Le rovine che dominano la messa in scena del film non sono semplici sfondi, ma cariche di significato, rappresentando il trascorrere del tempo e la perdita di interezza culturale e spirituale. Le idee di Walter Benjamin sull’“aura” degli oggetti storici offrono una chiave interpretativa per l’estetica delle rovine in Tarkovsky. Per Benjamin, le rovine possiedono un’aura unica, una presenza storica che evoca il desiderio per ciò che è andato perduto. Dunque, le rovine rappresentano non solo la frammentazione spirituale ed emotiva di Gorchakov, ma anche la più ampia disgregazione delle tradizioni culturali e spirituali. Il paesaggio visivo del film parla di un desiderio di un’unità perduta, di una completezza che rimane sfuggente. L’immagine finale del film, in cui Gorchakov tenta di portare una candela attraverso una piscina prosciugata, simboleggia la fragilità della memoria e della speranza spirituale. La luce tremolante della candela, circondata da vaste rovine, diventa una potente metafora della lotta umana per preservare significato e identità in un mondo segnato dalla transitorietà e dal decadimento. La memoria stessa è fragile, come la candela, sempre sul punto di essere spenta dai venti del tempo e dell’esilio. Nostalghia invita ogni spettatore a relazionarsi con il film in modo profondamente personale, proiettando su di esso le proprie memorie ed esperienze. Come Tarkovsky stesso una volta disse, “un libro letto da mille persone è mille libri diversi”. Allo stesso modo, Nostalghia si offre come un’esperienza intima, un’opera cinematografica che invita a molteplici interpretazioni. Il cinema non massimalista di Tarkovsky richiede pazienza e introspezione da parte dello spettatore, ma in cambio offre un incontro profondo con le dimensioni poetiche del tempo e dello spazio. La nostalgia ci ricorda che cercare di mantenere vivo un ricordo è come tentare di mantenere accesa una candela tra i venti del tempo. Ciò che rimane, come suggerisce il film, è una rovina—un silenzioso e inquietante promemoria della fragile bellezza della vita—silenziosa, sommersa, ma ancora risuonante degli echi del passato.

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