Tutte le famiglie e l’amore

Nan Goldin, 1989, “Sharon with Cookie on the bed, Provincetown”

La lotta contro le famiglie arcobaleno portata avanti dal governo Italiano, letta attraverso “Tutta La Bellezza e Il Dolore” di Laura Poitras

di Viola Giacalone


 

Poco più di un mese fa, tramite una circolare, il Ministro dell’Interno Piantedosi, ha realizzato il suo primo provvedimento legislativo contro le famiglie arcobaleno. Quei pochi diritti che erano assicurati alle famiglie omogenitoriali, esistevano grazie alla possibilità di trascrivere i propri nomi nell’atto di nascita all’anagrafe, un’operazione che diverse amministrazioni comunali avevano consentito negli ultimi anni. D’ora in poi sarà possibile registrare il nome di un solo genitore, costringendo l’altro a dover ricorrere all’adozione, un processo lungo e periglioso. Tutto questo a meno che i comuni non oppongano resistenza al provvedimento, contravvenendo agli ordini, cosa che fortunatamente sta già avvenendo. 

Questo atto di forza è in linea con la campagna di propaganda a favore della famiglia tradizionale che il nuovo governo ha portato avanti fin dal primo momento: “difenderemo Dio, patria, famiglia”, disse Meloni nel discorso che tenne durante il Congresso Mondiale delle Famiglie nel 2019, riprendendo le parole di Mazzini, poi diffuse durante il ventennio. Tre parole che sono state svuotate dei loro molteplici significati per attribuirgliene uno univoco. Un’operazione semantica che, ad avviso di chi scrive, richiede che l’opposizione porti avanti la stessa lotta semantica. Riportando alla luce la ricchezza di questi concetti.  

La lotta semantica sembra essere necessaria in un contesto nel quale le parole stesse degli specialisti vengono ignorate o manipolate a proprio piacimento:  “Ogni bambino ha diritto di avere una mamma e un papà. Lo dicono tutti gli psicologi” ha dichiarato durante un’intervista la ministra per la famiglia Roccella. 

“Non ci sono differenze fra le famiglie con genitori eterosessuali e quelle con genitori omosessuali. Ciò che è importante è il benessere dei bambini e la qualità dell’ambiente familiare fornito dai genitori” le hanno risposto in una lettera i Presidenti degli ordini degli psicologi di Lazio, Campania, Abruzzo, Veneto, Marche, Sicilia ed Emilia Romagna, ribadendo le parole dell’Associazione Italiana di Psicologia del 2011.  Secondo gli psicologi l’unica differenza che corre tra le vite dei figli delle coppie omosessuali e quelle eterosessuali è lo stigma. Il fattore determinante è quindi: “la capacità della società di non esporre le famiglie alla stigmatizzazione, al pregiudizio e alla discriminazione”. Il recente provvedimento fa danno primariamente ai figli, che nascono in un paese il quale governo agisce attivamente per cancellarli. 

Dopo aver visto le foto delle famiglie scese in piazza per riacquisire diritti acquisiti da poco e a fatica, ho pensato all’ultimo vincitore del Leone d’Oro a Venezia, candidato agli Oscar come “Miglior Documentario”: Tutta La Bellezza e Il Dolore, di Laura Poitras sulla fotografa e attivista Nan Goldin. Ci ho pensato perché un’opera che parla di cosa sia una famiglia in modo urgente. 

“Penso che questa storia sia utile non solo per me ma per la società. È una storia che parla di conformismo, negazione e stigma” dice Nan Goldin nelle ultime scene del film.

Diviso in capitoli semi-cronologici, Tutta la Bellezza e il Dolore segue due storie parallele e complementari, la vita turbolenta e l’arte di Nan Goldin, e le principali azioni politiche del gruppo PAIN, che la fotografa ha fondato nel 2017 per denunciare pubblicamente la famiglia Sackler. La “famiglia” Sackler, proprietaria della Purdue Pharma, è tra le maggiori responsabili della crisi degli oppiacei che ha causato solo negli Stati Uniti, più di mezzo milione di morti da overdose, tra i quali diversi amici e amiche di Nan Goldin. Il nome dei Sackler ha troneggiato per anni nelle sale dei maggiori musei e università del mondo, come quello di molti altri spaventosi filantropi.

Vorrei usare questo film come se fosse una luce per leggere l’attuale situazione, nell’attesa di altre opere che sappiano centrare il punto con la stessa sensibilità. 

Le diverse storie raccontate da Nan Goldin nel corso del film sembrano rispondere alla domanda: cos’è una famiglia? 

Viene descritto un ciclo di amore e violenza, nel quale la violenza prevale quando è taciuta per comodità e conformismo, da chi ne trae un profitto. Per spezzare questo ciclo, è necessario spezzare il silenzio. 

Cos’è una famiglia? 

In una delle scene finali, un vecchio filmino girato da Nan: i suoi genitori, due signori eleganti, ballano in salotto. Le loro mosse di danze un po’ goffe, assumono un’aria tragicomica quando Nan commenta, con un tono più compassionevole che risentito:  

Mio padre e mia madre non erano attrezzati per essere genitori. Hanno avuto figli perché era quello che ci si aspettava da loro, più che per prendersi cura di altri esseri umani.”

La sua famiglia è nata dal dovere, si è sgretolata strada facendo, ma è riuscita a mantenersi salda sotto la maschera della menzogna. Non è diversa dalla storia di tante delle nostre famiglie, dei nostri nonni magari. Per qualcuno di noi, nati dall’amore, post ‘68, quella di doversi accoppiare da giovani, è storia desueta. In un mondo in cui si è sempre più soli, non ci si sposa perché costa troppo, è una storia alla quale si pensa quasi con nostalgia. Una storia che la nostra generazione elabora spesso in meme del genere “si stava meglio quando si stava peggio”:   

 

Può quasi sembrare attraente, oggigiorno, quella semplicità per la quale un uomo e una donna giovani devono procreare, stare insieme e basta. Il nostro attuale governo punta proprio a romanticizzare quel modello tanto lontano dal mondo contemporaneo, proponendolo come soluzione al disfacimento dei valori causato dalla globalizzazione. Associando a quel modello di famiglia la lotta al mondo globalizzato, tenta così di attirare anche le simpatie di una certa ala della sinistra. 

Non c’è niente di sbagliato nell’essere etero, e volersi sposare e fare figli. Ma è nocivo imporre quel tipo di famiglia come unica via, o presentarlo come un’esclusiva promossa da un governo di estrema destra. Ci sono infatti tante famiglie etero-normate e felici che non hanno nessun bisogno né voglia di essere associate a questo governo. Non si può celebrare quel tipo di famiglia senza prima aprire una discussione su tutto il male che quel tipo di unione ha generato nel corso dei secoli, senza prendere provvedimenti utili a riguardo.

È troppo facile tacere quel male.

Nella sua famiglia il silenzio sulle questioni importanti, come il suicidio della sorella, era tanto da far perdere a Nan Goldin la parola durante l’adolescenza. Come ha scoperto anni dopo, sfogliando dei fascicoli, i genitori vivi e vegeti avevano mandato la sorella in un orfanotrofio. La credevano malata di mente, complice anche, forse, il fatto che preferisse le ragazze ai ragazzi. Il rapporto degli psicologi sulla sorella parla anche della madre, sostenendo che anche lei avesse bisogno di cure. La madre aveva infatti subito violenze sessuali da parte di un familiare per anni. La sorella Barbara si è buttata sotto un treno. Nel taccuino che hanno ritrovato, aveva trascritto questa citazione di Joseph Conrad: 

“Droll thing life is that mysterious arrangement of merciless logic for a futile purpose. The most you can hope for is some knowledge of yourself that comes too late- a crop of unextinghuishable regrets”

 

Il ciclo di violenza si nutre del silenzio. 

Cos’è una famiglia? 

Nan sostiene retrospettivamente che la sorella avesse disperato bisogno di una casa, e che se avesse incontrato delle persone, se fosse stata amata, sarebbe sopravvissuta. La fotografa infatti è stata salvata dagli incontri che ha fatto nel corso della vita. Dopo essere stata scacciata dalle varie foster families e istituti, finisce in una casa famiglia sperimentale, dove incontra David. È la prima a riconoscere l’identità del ragazzo, che ancora non aveva ammesso la sua omosessualità a nessuno, forse nemmeno a sé stesso. David la incontra nel suo periodo di mutismo, e le dice che lui poteva sentire le sue parole, che ancora parlava sussurrando. Da quel momento Nan e David iniziano a viaggiare, e si ricostruiscono una famiglia composta da quella che la narratrice chiama “emarginati”. A Cambridge diventano amici di una comunità di drag queens. Nan le fotografa e dona loro le foto, nelle quali vedono celebrata per la prima volta la loro bellezza. Di loro Nan dice:

“Stavano scappando dall’America e si sono trovati. Non pensavano di essere pionieri o ribelli, lo erano e basta” 

Ricordo la prima volta che sfogliai The Ballad of Sexual Dependency avevo 14 anni: la cosa che più mi colpì e mi legò indissolubilmente all’arte della fotografa è che rappresentava la vita di adulti in un modo che riconoscevo in quanto adolescente. I suoi amici erano parte integrante della sua quotidianità. Li rappresentava nelle situazioni più  intime e drammatiche, ma descriveva anche un mondo irresistibile di simbiosi, di pomeriggi e vacanze insieme, lontano da quello che ci si può immaginare dell’età adulta. Si scambiavano i vestiti. 

 

Nan Goldin, Picnic on the Esplanade, Boston, 1973
Nan Goldin, Picnic on the Esplanade, Boston, 1973

Anni dopo vivendo a Parigi, frequentando la comunità LGBTQ+, ho capito più profondamente quelle immagini. Ho incontrato gruppi di amici e amiche che erano delle vere e proprie famiglie, in quanto spesso le famiglie biologiche non volevano avere nulla a che fare con le scelte e le identità di molti di loro. Ho capito l’esistenza di famiglie nate per necessità e non dovere, basate sulla cura e la protezione reciproca. Nan vede nella cura reciproca la più grande prova d’amore. Ad esempio porta la storia di Susan e Cookie, ritratta in alcuni dei suoi scatti più toccanti. Cookie, it-girl dell’epoca, musa di John Waters, scappava da un passato difficile con un bambino a carico e quando Susan la incontrò decise che si sarebbe presa cura di entrambi. Continuò a farlo anche anni dopo la loro storia, quando Cookie era a letto per aver contratto l’AIDS. 

Per quanto l’esistenza di una lobby gay sia una teoria del complotto molto usata dai conservatori, si fonda su una verità, ovvero il fatto che nel mondo LGBTQ+ ci siano grandi esempi di cosa significhi agire come una comunità. È triste pensare che tutta quella bellezza possa nascere soltanto dal dolore. È un’indicazione importante su quanto l’educazione allo spirito comunitario e la cura reciproca siano poco inerenti alla nostra società. La necessità di ricrearsi una famiglia nasce là dove esistono solo silenzi, vuoti legislativi, e controinformazione. 

-Una foto di Dora Diamant che ritrae le sue amiche e amici, senza titolo. Dora Diamant è stata un’icona della scena notturna underground, fotografa, dj, artista, considerata l’erede parigina di Nan Goldin di questi anni ’10. Le sue foto ritraggono con dolcezza la comunità LGBTQ+ della capitale francese.

 

Nan e i suoi amici erano emarginati ma se ne fregavano, perché non volevano far parte di quel mondo. Infatti la Bowery, la strada di New York in cui tutti si trasferirono all’inizio degli anni ‘80, era un elettrizzante universo a parte. La Ballad era una festa che si teneva sul filo del rasoio, quello di vite costrette al limite. Il film descrive la lotta artistica e politica portata avanti da molti contro la stigmatizzazione mediatica dell’AIDS. Era un’ignoranza istituzionalizzata: “If you want to stop AIDS shoot the queers”, questo il tipo di dichiarazioni che venivano dall’alto all’epoca; non è difficile pensare quindi quanto potesse essere difficile contenere il problema e sensibilizzare ai rimedi. Lo stesso vale per le dipendenze: alcuni membri del gruppo PAIN, intervistati nel corso del film indicano come unica soluzione alla crisi degli oppiacei il contenimento del danno, attraverso la riduzione dello stigma, e di centri specializzati, i supervised injection sites in cui si mira ad assicurare un’assunzione responsabile, informando sui pericoli e offrendo il proprio aiuto. 

Viene da pensare alla battaglia contro l’aborto portata avanti nel nostro paese: nonostante il nuovo governo abbia promesso che la 194, legge che garantisce il diritto all’aborto non verrà toccata, ha comunque presentato proposte di legge che ne indeboliscono sempre di più l’efficacia, già messa alla prova dai migliaia di obiettori di coscienza in Italia. Si pensa alle proposte volte al “riconoscere la capacità giuridica del concepito”, che di fatto criminalizzano l’aborto, perché il feto è considerato una persona a pieno titolo dal momento del concepimento. Come lo stigma non impedisce ai drogati di drogarsi o ai malati di aids di contrarlo, non impedisce alle donne di abortire, infatti si stimano tra i 10.000 e i 13.000 aborti clandestini in Italia ogni anno. 

La morte si nutre del silenzio!

Oltre alla famiglia biologica e alla famiglia che si è scelta, nel film ne appare una terza, una che si definisce quanto tale almeno: i Sackler. 

Il documentario presenta la battaglia tra PAIN e i Sackler come la battaglia del bene contro il male. Grazie all’azione combinata del gruppo, di avvocati e di giornalisti investigativi volontari, alcuni tra i musei più importanti del mondo rimuovono il nome degli Sackler dalle loro sale e smettono di accettare i loro soldi. 

I Sackler offrono un risarcimento, anche se esiguo rispetto ai danni. Il bene trionfa. Nonostante questa struttura narrativa possa apparire, se applicata al genere documentario, un po’ classica o semplicistica, mette bene in evidenza il ridicolo della situazione: quella che si definisce famiglia e che in realtà è un’azienda, è stata la fine di centinaia di famiglie. Anche se nel caso dei Sackler, un legame di sangue c’è, è molto in uso per le aziende il presentarsi al pubblico come una famiglia. È il capitalismo dal volto amico, il senso di famiglia più vuoto, che molti grandi nomi usano per rendere accettabili tutta una serie di cose, come lo sfruttamento dei loro lavoratori, e l’omertà che circonda certe pratiche. Quel che lega queste aziende-famiglie è il profitto, qualcosa di diametralmente opposto al senso della cura reciproca, prerequisito necessario alla creazione di una famiglia vera. Grazie a dei leaks sulle conversazioni di Whatsapp di alcuni esponenti dei Sackler, si è potuto scoprire che la loro principale preoccupazione, anche dopo essere stati esposti al male che avevano causato, era il rischio di inficiare le loro public relations, di non essere invitati a qualche ricevimento. Anche per la “famiglia” Sackler, silenziare e negare l’evidenza sono state le principali risposte alla minaccia.  Dopo le prime azioni del gruppo PAIN, la Purdue Pharma iniziò a pubblicare degli annunci sul New York Times che fanno quasi ridere: 

“We manifacture prescription opioids. How could we not help fight the prescription and illicit opioid abuse crisis?”  

Il profitto si nutre del silenzio.

Cos’è una famiglia? 

È un legame potente che può nascere ovunque, tra chiunque, e per questo deve essere tutelata nella sua natura multiforme. La tutela è possibile solo grazie al riconoscimento, ma a questo devono seguire delle leggi concrete, che prendano atto di qualcosa che già esiste. Stigmatizzare, o tentare di cancellare dei tipi di famiglia non è la soluzione, ma solo un modo per complicare un’infinità di vite. Abbiamo davvero bisogno di altro dolore? Non si può ancora andar contro all’amore omosessuale, pur sapendo che è diffuso quasi quanto quello eterosessuale. Additare questa guerra all’esigenza di contrastare un’oscura potentissima lobby gay, quando uomini gay, donne lesbiche e persone trans, nella vita molto poco patinata di ogni giorno subiscono soprusi di ogni genere solo uscendo per strada. Non è abbastanza riassumere una tematica delicata nella formula “uteri in affitto”, quando lo stato resta il primo a sanzionare il corpo delle donne. Uno stato non può ignorare la storia e la morte. Uno stato non può ignorare l’amore. 

Potremmo invece pensare a come trasmettere il senso comunitario a tutti, indistintamente dal genere e l’orientamento sessuale. Considerare le diverse forme d’amore come una ricchezza per il paese. Educare alla civiltà della cura. Rompere il silenzio, e proteggere davvero la famiglia. 

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