Il giornalismo culturale inizia dai soldi e finisce nei social

In copertina: opera di Francesco D’Isa

 

Intervista a Francesco D’Isa, direttore di Indiscreto: come interagiscono tra loro i finanziamenti, i contenuti e i modi di comunicazione di una rivista culturale? 

di Fabio Ciancone


 

Alla fine della mia intervista a Francesco D’Isa, che il lettore troverà rielaborata in questo pezzo, l’applicazione che avevo appositamente scaricato per registrare l’incontro non ha funzionato e il file, contenente circa cinquanta minuti di conversazione, è andato perso. Con imbarazzo mi sono alzato dal divano del bar in cui eravamo seduti, pensando che sarei comunque riuscito a trasportare sulla pagina una sintesi fedele di quello che ci siamo detti. L’intervista è nata dalla volontà di indagare la storia dell’Indiscreto, rivista che nel corso degli anni si è evoluta più volte nella forma, negli argomenti e nel pubblico di riferimento. Queste metamorfosi comportano un cambiamento nella diffusione dei contenuti, oltre alla necessità di ricorrere a forme diverse di finanziamento.

Francesco D’Isa, saggista, scrittore e disegnatore, dirige oggi L’Indiscreto. La rivista è nata, nella sua prima versione, nel 1969 in veste di pubblicazione satirica a tema prevalentemente artistico della Galleria Pananti di Firenze. Oggi Pananti è una casa d’aste, che otto anni fa ha chiamato D’Isa con lo scopo di gestire il loro blog, un lavoro per cui quest’ultimo ha chiesto più libertà e che grazie alla fiducia datagli da Pananti ha trasformato in una rivista. L’Indiscreto, nella sua nuova veste, si propone di “spiegare cose difficili in modo semplice”, come è scritto nell’intestazione del sito: «È una scelta che non ha a che fare con una precisa volontà. La rivista nelle sue fasi iniziali ha assunto questa connotazione, perché era quel che mi piaceva e che piaceva a chi collaborava con me, così abbiamo deciso di mantenere questa linea editoriale», mi spiega il mio interlocutore. L’Indiscreto si occupa “di cultura e di altro”, dove questo “altro” abbraccia di volta in volta le idee e gli spunti differenti dei membri della redazione: «Sebbene abbiamo ormai una linea editoriale non ben definibile ma ciononostante precisa, siamo aperti a proposte molto diverse tra loro. Se ci piace lo stile di uno scrittore e sappiamo che affronterà un argomento in maniera efficace, non poniamo grossi limiti ai contenuti, anche ai meno convenzionali. È uscito da poco, ad esempio, un articolo sulla rappresentazione figurale del pene di Cristo in relazione al messaggio che l’artista vuole veicolare nell’opera. Quando mi è stato suggerito l’argomento ero sicuro che l’autore, con cui collaboriamo da tempo, l’avrebbe affrontato con la massima serietà, per cui abbiamo accettato la proposta».

Conoscere il funzionamento di una rivista significa indagarne anche gli aspetti pratici e materiali, come i finanziamenti: «L’Indiscreto è finanziato soprattutto da Pananti», chiarisce D’Isa, «ma anche da due case editrici, Olschki e Aboca, e dagli abbonamenti dei lettori. Per Pananti il finanziamento è una forma di mecenatismo e un modo per usare la rivista come cassa di risonanza e trovare nuovi clienti. La scelta di Aboca e Olschki come case editrici di riferimento deriva prevalentemente dalla certezza che pubblicano testi di qualità. Nel lavorare con i loro libri abbiamo la libertà di suggerire quali riteniamo più interessanti per il nostro pubblico, senza ricevere alcuna imposizione. In ogni caso, il nostro rapporto con questi due editori non è esclusivo: parliamo di tutti i testi che ci piacciono». Chiedere il sostegno dei lettori è una formula di finanziamento che alcune riviste oggi adottano in maniera esclusiva o prevalente: «Ricevere finanziamenti stabili è essenziale per poter pagare i nostri autori. Al momento noi non possiamo vivere esclusivamente di abbonamenti, dovremmo ampliarne di molto il numero. Credo comunque che sia molto importante il rapporto di fiducia che si instaura con un lettore nel momento in cui decide di dare i propri soldi per leggere dei contenuti». Di recente Indiscreto ha subito la sua ultima metamorfosi ed è stata pubblicata anche in due differenti formati fisici, il numero zero di una collana edita da Tlon e un’edizione limitata riservata agli abbonati, celebrativa della storia della rivista. «Il progetto con Tlon è ancora tutto in divenire, non sappiamo che strada prenderà», specifica lui.

Nella dimensione virtuale di creazione e diffusione degli articoli si è sviluppata nel tempo, è ormai cosa nota, l’esigenza per le riviste culturali di creare contenuti che generino interesse nel lettore, che diano vita a un pubblico, anche in relazione anche alla necessità di sopravvivere economicamente tramite gli accessi al sito o per mezzo degli abbonamenti. Francesco D’Isa guarda alla questione da una prospettiva non del tutto concorde: «Partiamo dal presupposto che chi legge, in quanto tale, non sappia cosa vuole. Il suo ruolo, piuttosto, consiste nello scoprire e al limite criticare qualcosa che prima non conosceva. Di conseguenza, una rivista culturale non può a priori sapere cosa desideri il proprio pubblico, ideale o reale, ma deve costruirlo e crescere assieme ad esso. Noi pubblichiamo spesso articoli su temi di nicchia, tanto che molti lettori ci hanno scritto di aver conosciuto certe questioni grazie ai nostri articoli. Se tentassimo di andare a tutti i costi incontro al gusto mainstream, annulleremmo questo processo. È per questo che cerchiamo di stabilire una linea editoriale che rispecchi innanzitutto i nostri gusti e le nostre idee. L’Indiscreto poi, per i temi che tratta, accoglie un pubblico molto variegato e per certi versi polarizzato: un lettore con una certa formazione culturale sarà più interessato agli articoli sul misticismo, un altro (più spesso un’altra, purtroppo) a quelli su femminismo e ambiente, quindi è difficile prevedere le aspettative. Ci piace pensare che in questo modo alcune persone possano aprirsi anche a temi e idee che prima guardavano con sospetto. C’è, infine, una questione legata a aspetti etici della scrittura: bisogna evitare di fare clickbait o di inserire titoli totalmente slegati dal contenuto dell’articolo: oltre che a essere scorretto fa perdere del tutto credibilità alla rivista».

In un editoriale del 2019 con cui lasciavano la direzione di Le parole e le cose, Guido Mazzoni e Gianluigi Simonetti hanno posto il problema della democratizzazione della cultura per mezzo di internet. Scrivevano, riporto le loro parole, che internet è un luogo in cui il dibattito era orizzontale e caotico: scrittori affermati parlavano con perfetti sconosciuti, magari eteronimi; persone che avevano una firma si scontravano con personaggi dal nickname cretino che potevano tranquillamente avere sedici anni, e a volte ce li avevano davvero. Le affinità letterarie e politiche sembravano contare tanto quanto gli interessi, le convenienze, le amicizie, che peraltro si sfasciavano e si riformavano vorticosamente, come succede in un’epoca nella quale gli interessi personali contano più delle appartenenze. Se da un lato, dicono i due, questo comportava un confronto molto più ampio rispetto al passato sui contenuti culturali, dall’altro ha posto sullo stesso livello conoscenze, specificità e approcci anche molto differenti tra loro. Commenta il mio interlocutore: «È una questione interessante: è sicuramente vero che per mezzo di internet noi scrittori abbiamo un rapporto più diretto e immediato con i nostri lettori e lettrici. È capitato spesso che qualcuno nei commenti di Facebook facesse commenti molto puntuali o criticasse il contenuto di un pezzo chiedendo di rettificarlo. Il nostro compito è sempre quello di metterci in discussione e verificare quello che pubblichiamo, chiamando in causa i singoli autori e autrici: spesso autore e lettore si sono confrontati direttamente, oppure ci abbiamo lavorato collettivamente come redazione. Raramente abbiamo dovuto correggere l’articolo, ma è successo. Questa orizzontalità si rispecchia anche all’interno delle redazioni stesse, che in parte hanno perso la struttura piramidale che avrebbero avuto in passato. Certo, per come è impostata e si sviluppa la conoscenza oggi è impossibile pretendere da parte di un singolo l’onniscienza e la specializzazione su qualsiasi aspetto: capita, ad esempio, che un fisico che debba tirare conclusioni etiche in un suo pezzo venga criticato da un filosofo. È la dialettica della cultura di oggi e noi non possiamo far altro che abitare le contraddizioni. Qualcuno ha anche scritto pezzi sull’Indiscreto a partire da commenti sotto i nostri post. Non sono dinamiche molto diverse dal passato, tutti i grandi autori hanno detto qualcosa di “sbagliato”, solo che sono stati contraddetti mesi o anni dopo da un altro intellettuale invece che il giorno stesso nei commenti del post. È una questione di accelerazione e democratizzazione delle interazioni».

Esistono differenze sostanziali tra forma fisica e forma virtuale della stessa rivista. In primo luogo, il rapporto con il lettore: proprio in virtù di quanto appena riportato, è bene notare che i tempi e i modi di interazione tra una redazione o un autore e i lettori cambiano radicalmente: «Su una rivista online ci si può permettere molto di più di sperimentare, di pubblicare anche contenuti che non ti convincono pienamente, mentre quando si stampa una rivista fisica non si può correre il rischio di pubblicare un articolo che non interessa a nessuno. In quel caso bisognerà ragionare di più sulla forma, sulla lunghezza e sui contenuti, cercando di andare un po’ più sul sicuro. La cosa interessante della forma digitale è che possono avere una diffusione molto ampia articoli su cui non si avevano molte aspettative e viceversa, le dinamiche della lettura e della condivisione online sfuggono al controllo o alla previsione della redazione».

Ho posto quindi a D’Isa una questione di gerarchia dell’informazione: il formato fisico di un giornale o di una rivista fornisce al lettore, già a partire dalla distribuzione dei contenuti sulla pagina, una scala di importanza delle notizie o dei contenuti: la prima pagina, il titolo principale, la colonna di destra, l’inserto e così via. Sul digitale non è raro trovare giustapposte immagini di guerra a ricette fatte in casa, notizie di politica e di gossip. Così anche in molte riviste online si possono scrollare senza soluzione di continuità articoli di letteratura, di scienza, di cinema, di costume e così via: «Poni una questione interessante. Su Indiscreto ci riserviamo la possibilità di mettere degli articoli in evidenza, che in genere sono quelli che ci interessano di più. Oltre a questo, però, non sentiamo la necessità di mediare eccessivamente i nostri contenuti. Internet dà la possibilità di raggiungere un numero incredibilmente più vasto di lettori e proprio per questo la mediazione all’interno della stessa rivista diventa anche poco efficace. Funziona così anche per i libri».

Uno dei contenuti più peculiari e dal mio punto di vista interessanti dell’Indiscreto sono le classifiche di qualità: una giuria molto ampia, composta da scrittrici, editor, traduttrici, librai e altre persone del settore editoriale hanno il compito di votare in modo autonomo il libro migliore, pubblicato in un dato arco temporale, nelle categorie narrativa, saggistica e poesia. Qualunque testo riceva almeno un voto entra in classifica: «Le classifiche di qualità nascono da un’idea di Vanni Santoni, con un passaggio di testimone da Pordenonelegge. Lo scopo è dare al lettore una sorta di panoramica sui libri pubblicati nell’arco di quattro o cinque mesi. Per ottenere una panoramica interessante puntiamo sulla quantità, sia di persone della giuria che di opere selezionate. Cerchiamo di averne il maggior numero possibile per stemperare nella statistica il risultato della classifica. È anche un modo per non caricare di eccessiva responsabilità i singoli componenti della giuria. Sono molto felice del fatto che non mi sia mai capitato di trovare in top 10 un libro brutto, vanno tutti dall’interessante al molto bello». Se da un lato l’operazione dell’Indiscreto può avere come effetto la canonizzazione del panorama letterario contemporaneo, dall’altra la classifica accoglie una quantità molto ampia di testi, nei confronti dei quali molto spesso ci si scontra con la difficoltà, racconta D’Isa, a incasellarli in un genere preciso e univoco: «La classifica di qualità non nasce con un intento canonizzatore, piuttosto con quello di far leggere nuovi libri, e in questo è efficace. Poi certo, ognuno usa le classifiche come crede. Personalmente mi piace scavare un po’, magari leggere i libri che occupano una posizione tra la quinta e la decima piuttosto che i primissimi. Sono anche felice del fatto che nelle posizioni alte della classifica si trovino libri pubblicati da case editrici medio-piccole: anche se essere piccoli non è di per sé un valore, contribuiamo a allargare un po’ il panorama della lettura e della distribuzione di testi».

La nostra conversazione si è conclusa con una riflessione sui nuovi media di cui le riviste culturali si servono. La scrittura lascia spesso spazio al podcast o ai contenuti video, spesso in relazione alla piattaforma in cui i contenuti sono veicolati. In molte riviste l’articolo è preceduto dalla sua registrazione audio, molto spesso letto da un’intelligenza artificiale. Se è vero che i media continueranno a ibridarsi e a evolversi, a trovare contesti di ricezione differenti, è altrettanto vero che i loro percorsi sono del tutto imprevedibili: «La tendenza della scrittura a ibridarsi con altri media non nasce certo oggi. Personalmente, ad esempio, non amo i video, non riesco a fruirne, quindi non mi viene spontaneo neanche progettare contenuti video sull’Indiscreto. Ma se una persona competente riuscisse a propormi un uso efficace dei video non avrei problemi. Ovviamente c’è anche la questione dei costi: produrre un video o un podcast costa molto di più che scrivere un testo. In ogni caso, non credo che la scrittura debba necessariamente lasciare il passo a altre forme di comunicazione, perché ha delle sue caratteristiche irriducibili agli altri media».

 

Rispondi