La moda secondo La Gioconda

La Gioconda

 

Una nuova lettura del ritratto vinciano ne svela il look originario

di Angela Zambarda


 

Leonardo da Vinci ha studiato di tutto, dai progetti sulle biciclette volanti a quelli sulle macchine da guerra, dagli schizzi di botanica a quelli dell’anatomia umana, arrivando a creare un vero e proprio laboratorio di formae mentis che ci è restituito attraverso i Codici. Il suo genio perspicace non poteva non occuparsi anche di moda femminile, un campo che lo rese noto tra le dame cortesi che apprezzarono fin da subito la sua cifra stilistica. Mi riferisco, ad esempio, ai “nodi vinciani” ricamati sull’orlo del corpino che impreziosiscono la veste sfoggiata da una cortigiana, che oggi conosciamo come la Gioconda. Ancora non ci è chiaro cosa significhino quegli intrecci di nodi, ma quando venne finito il quadro certamente diventarono di moda, se non poco prima. E probabilmente solamente un ristretto entourage cortese avrebbe potuto intendere quell’innovativa invenzione vinciana rispetto all’aura di mistero che velava gli occhi dei popolani: forse quei “gruppi” alludono all’infinito geometrico e all’eternità, simboli su cui Leonardo si soffermò spesso nei disegni e nelle opere.  

Anonimo incisore, Nodi vinciani. Londra, The British Museum.

 

Quel ricamo a “nodi vinciani” proposto nella tavola parigina è frutto della creatività ingegnosa di Leonardo da Vinci: si tratta di intrecci di fili d’oro (in alternativa, nodi di corda applicati) che si intricano e si ripetono variamente sulle vesti, una nota che conferisce autenticità stilistica alla stessa effigiata. In un primo momento apparvero sulle Madonne da lui ritratte: ad esempio, sul corpino ricamato della Madonna del Garofano (1478-80) o nei capelli intrecciati della Madonna Benois (1478-80); entrambi dipinti che precedono la discussa Monna Lisa della Gioconda. Quei gruppi di nodi furono talmente apprezzati dalle dame del suo tempo al punto che più volte furono scelti per i loro abiti, diventando un motivo topico a partire dal 1490, anno in cui risultano essere maggiormente attestati. Ancora negli anni Trenta del Cinquecento si può ammirare quell’intreccio vinciano svolto con filo dorato sulle maniche di Isabella d’Este, sotto forma di impresa emblematica nel ritratto tardivo realizzato da Tiziano Vecellio.

 

Tiziano Vecellio, Ritratto di Isabella d’Este, 1534-1536 ca., olio su tela, 126 x 87,5 cm, Vienna, Kunsthistorisches Museum

Tornando alla Gioconda, quegli intrecci che si snodano sul profilo della veste non aiutano a gettar luce sull’identità dell’effigiata ritratta da Leonardo, che nel corso del tempo è stata oggetto delle ipotesi più varie, spesso basate su dettagli iconografici che interessarono pure la moda. In effetti, il velo nero che indossa sul capo la Gioconda, in diverse occasioni, fu associato ad altre proposte sull’identità della dama ritratta: da Pacifica Brandano, amante di Giuliano de’ Medici, quale attributo di un loro figlio morto, fino a Costanza d’Avalos, duchessa di Francavilla, quale segno distintivo del suo corredo. Tuttavia si tratta di argomentazioni ora prive di fondamento, in contrasto con quanto riportano gli inventari del 1525 che confermerebbero i ricordi, pur non privi di fantasia retorica, tramandati da Vasari nelle Vite, e in contrasto con teorie più affermate sulla tavola parigina, prima fra tutte quella dello studioso Fiorenzo Laurelli, ma anche l’analisi dello storico Frank Zoellner. 

Secondo Zoellner, la tavola parigina sarebbe stata commissionata a Leonardo da Francesco del Giocondo attorno al 1503, forse in occasione dell’acquisto di una dimora per la sua nuova famiglia. L’abbigliamento della Monna Lisa sui toni scuri rifletterebbe la moda spagnola che fece ingresso, proprio a inizio secolo, anche a Firenze. Indossando una veste cupa accompagnata al velo nero, secondo lo stesso studioso, Lisa avrebbe rispecchiato quelle virtù morali di castità, di devozione e di fede, ben esemplate dalla simbolica posa delle mani giunte. Lo storico Laurelli, oltre a considerare la scarsa attendibilità storica delle ipotesi alternative, analizza attentamente le Vite di Vasari che ricordano:

Prese Lionardo a fare per Francesco del Giocondo il ritratto di mona Lisa sua moglie; e quattro anni penatovi, lo lasciò imperfetto”.

 

Nonostante impiegò circa quattro anni a dipingere il ritratto, Leonardo non arrivò mai a ultimarlo, forse poiché privo di quella perfezione che il pittore cercò di raggiungere in ogni sua impresa. Effettivamente, alcune analisi, recentemente condotte da Pascal Cotte sul dipinto tramite una sofisticata fotocamera multispettrale, avrebbero dimostrato i molteplici ripensamenti che subì la Gioconda nel corso del tempo, mostrandosi principalmente in due aspetti differenti. Dapprima sarebbe apparsa con un volto più affine alla parvenza di Lisa Gherardini, definito persino nei lineamenti del viso, vestita con un abito unito alle maniche tramite dei fiocchi e impreziosita sul copricapo con delle spille unite a perle. Inoltre lo sguardo sarebbe stato rivolto altrove, mentre le mani sarebbero state dipinte più grandi. Nella seconda versione, più somigliante all’attuale, la Gioconda si mostrerebbe con un viso di dimensioni maggiori, in cui emerge il noto sorriso “enigmatico”, privo delle sopracciglia marcate e con labbra più carnose rispetto alla prima. Inoltre poserebbe con le mani giunte, ora più esili, e accompagnate da maniche prive di lacci. 

Per supportare la storicità della prima ricostruzione grafica pascaliana della Monna Lisa ci viene incontro un disegno di Raffaello, nel quale il pittore urbinate avrebbe delineato fedelmente l’aspetto dell’effigiata della tavola parigina, contribuendo a definirne l’identità. È noto come Raffaello si distinse quale abile copiatore, poiché prese a modello numerosi dipinti per affinare le proprie capacità disegnative. In quel lontano 1504-5, quando ancora il quadro si trovò a Firenze, il pittore urbinate si rifece proprio a quel dipinto vinciano per avvicinarsi alla tecnica di Leonardo. Il disegno raffaellesco probabilmente sarebbe poi servito come modello per il dipinto della Dama col liocorno (1505-7 ca.) oppure per il Ritratto di Maddalena Doni (1505 ca.).Dal disegno raffaellesco balzano subito all’occhio alcuni dettagli, fra cui l’accennata espressività, definita principalmente dalle sopracciglia marcate, e la capigliatura, raccolta in una treccia voluminosa all’interno del velo, che, rispetto al quadro vinciano, è fissato sul capo da una cordicella. Inoltre la dama raffaellesca indossa un abito in stile fiorentino differente rispetto a quello spagnoleggiante della Gioconda: rispetto a quest’ultima, la veste della dama raffaellesca è composta da una camicia arricciata, che copre la base del collo e sbuffa dal corpino aderente, il quale è poi unito a maniche abbondanti di stoffa e con spallini rigonfi. Sullo sfondo, oltre le volte del parapetto, si apre un paesaggio alquanto somigliante a quello dipinto nella Gioconda, se non fosse per l’inclusione, sulla destra, di un centro abitato fra cui si erge una torre campanaria.

Raffaello Sanzio, Ritratto femminile, 1505-1507 ca., penna, inchiostro marrone e tracce di gessetto nero su carta, 222 x 159 mm, Parigi, Musée du Louvre, Département des Arts Graphiques

Quanto all’abbigliamento, quindi, la Monna Lisa, ritratta come ventenne nel dipinto al Louvre, parrebbe volersi attenere a quel cambiamento stilistico in voga proprio all’inizio del Cinquecento in Italia, un periodo che segnò uno spartiacque per la moda femminile. Secondo gli studi di Venturelli e di Orsi Landini, a quell’epoca, si potrebbe osservare una diffusa predilezione per tessuti uniti – privi, cioè, di quei disegni che contraddistinguono i tessuti operati ? e prevalentemente in seta, fra cui rasi, taffetà e velluti uniti, spesso proposti in abbinamenti cromatici fino ad allora inusuali. Uno stile che venne fatto proprio persino dalle donne borghesi. In effetti, la Gioconda indosserebbe una sbernia, un manto in raso morello o “lionato”, sopra a una camora, vale a dire una sottoveste in raso ora cinereo, ma che originariamente avrebbe potuto essere celeste. Questa colorazione probabilmente fu ottenuta dal guado, un pigmento pregiato che in pochi furono in grado di procurarsi, alterato cromaticamente a causa dell’ossidazione della vernice nel tempo. Il corpetto della sottoveste, ornato dai nodi vinciani, è poi unito a maniche, un tempo giallo dorate, dalla tonalità squillante e volutamente in contrasto con la tonalità cupa dell’insieme, secondo la tendenza del momento.

Nonostante il quadro sia giunto fino a noi globalmente integro, alcuni dettagli pittorici, come la tonalità della veste, sarebbero apparsi diversamente in origine a causa dell’interazione delle vernici, distribuite strato su strato dai restauri che la tavola subì nel corso del tempo, come ricordò nel 1625 Cassiano del Pozzo: “il vestito […] è stato da certa vernice datale così malconcio che non si distingue troppo bene”. Ci si stupirebbe se si immaginasse una Monna Lisa vestita di colori più vividi e contornata da sfumature cromatiche più brillanti.

Al di là dell’attuale stato di degrado della tavola, si può ancora notare come la veste lussuosa sfoggiata dalla Gioconda sia confezionata con una stoffa pregiata, in raso di seta, che certamente circolò fra i ceti più abbienti, grazie ai fruttuosi scambi commerciali intrattenuti da Francesco del Giocondo. Si può, quindi, ritenere senza alcun dubbio, come per altro enunciò Vasari nelle Vite, che la dama del Louvre corrisponda proprio a Lisa Gherardini. Una tavola avente per soggetto una cortigiana, da pochi anni moglie del noto mercante di seta Francesco del Giocondo, fu commissionata appositamente da quest’ultimo a un pittore al tempo altamente richiesto come Leonardo, al fine di elevare lo status della coppia. Oltre a rivelare la fedeltà coniugale attraverso il celeberrimo ritratto, Lisa avrebbe potuto lanciare un nuovo stile a partire dalla scelta di un tessuto unito, ornato dai nodi vinciani, e che ben presto troverà sue seguaci. Un’ulteriore conferma dell’originalità del look della Monna Lisa verrebbe dalla stretta relazione fra il tessuto lionato del manto e l’intreccio vinciano che corre sul profilo del corpino, quali fossero una sigla o, meglio ancora, la firma del pittore: lionato starebbe per “Leonardo”, mentre l’intreccio vinciano per “vincere”, “da Vinci”. Poi, la datazione, a cui tradizionalmente si fa risalire la tavola del Louvre (1504), potrebbe coincidere proprio con quel cambiamento stilistico in atto sullo scorcio del secolo sopra citato, oltre che essere compatibile con la carriera di Leonardo, il quale tra la fine del 1502 e l’estate del 1503 non ricevette altre commesse importanti. 

Contando su una personalità così in vista come il pittore vinciano, pur di ottenere maggiore notorietà a livello sociale, Francesco del Giocondo avrebbe quindi commissionato a Leonardo un ritratto muliebre che certamente gli avrebbe garantito visibilità nella società fiorentina, dichiarando ufficialmente la sua terza unione nuziale. 

Un aspetto si potrebbe ancora notare e riguarderebbe, ancora una volta, l’abbigliamento esibito con particolare eleganza dalla Monna Lisa: una camora composta da un corpino scollato e increspato in raso, un tempo forse color celestino, unita a maniche dai riflessi dorati cangianti, che riprenderebbero i riverberi luminosi dello scialle appoggiato su una sola spalla (la sinistra, che dal 1510 diverrà un topos nei dipinti leonardiani), quasi volesse essere ricordata ai posteri nei tratti di una dea venerea. In effetti il manto apparirebbe posato sulla spalla sinistra alla maniera antica, un dettaglio compatibile con lo studio dei classici che il pittore vinciano intraprese in corso d’opera: come se Leonardo volesse apportare, mediante l’interminabile Gioconda, una maggiore riflessione sul moto del corpo e dell’anima.

Probabilmente il corpino avrebbe dovuto essere accompagnato anche da una camiciola di fine tela, ora occultata e nascosta dalla patina giallastra che rende ancor più spettrale la Gioconda, persino nel volto, ben lungi dalla descrizione minuziosa che ci è tramandata dal Vasari, il quale a sua volta si avvalse dei ricordi di chi al tempo la vide in prima persona. 

Si osservino poi i capelli, non completamente liberi, come appaiono nelle figure celesti dipinte, né avvolti da una retina nel balzo, come usavano le dame fiorentine. Quelli della Monna Lisa, invece, sono sciolti in due ciocche ai lati del volto, mentre, sul retro, dovrebbero essere raccolti in una treccia, a sua volta contenuta da un velo nero sottile e trasparente; un’acconciatura che corrispose alla moda femminile fiorentina dell’epoca. 

Questa nota di stile, derivata sia dalla capigliatura sia da alcuni elementi idealizzati, fra cui il manto classico, potrebbe enfatizzare il carattere illusorio della Gioconda, quasi fosse il ritratto di una cortigiana fiorentina qualunque. In questo senso si troverebbe una conferma nella teoria vinciana del “non finito”, che corrisponde alla scelta calibrata del pittore di non volere, oltre che di non potere in termini di tempo, finire il dipinto: Leonardo avrebbe, quindi, potuto dipingere un’icona in grado di concretizzare le idee finora espresse nel suo Trattato. E si comprenderebbe, quindi, nelle parole di Karl Jaspers, “la imperturbata distanza dell’anima” della Gioconda. 

Eppure una dama borghese fiorentina dovette posare come modella per Leonardo: dipingendo Lisa Gherardini in veste della Gioconda, Leonardo avrebbe mostrato la cortigiana Lisa con un abbigliamento adatto alla sua posizione sociale, che divenne ora più dignitosa proprio grazie al dipinto, che forse avrebbe dovuto sfilare nella serie dei ritratti familiari tappezzati sulle pareti della dimora del Giocondo. Nonostante non entrò mai in quella galleria, poiché rimase a contatto col “pittore filosofo” come se fosse per lui un amuleto, la Monna Lisa non conobbe meno fortuna nel corso del tempo: si consideri, ad esempio, l’incredibile diffusione della creazione vinciana, rappresentata sia dai nodi sia dal tessuto lionato, che la dama pare sfoggiare in quel quadro. Anche se si trattasse di una firma nascosta del pittore, quale ulteriore prova dell’autenticità della Gioconda, altri indizi rimandano alla diffusione dello stile che la dama sembra voler lanciare attraverso il dipinto, e mi riferisco all’acconciatura e all’abbigliamento. Non solo. Lisa Gherardini avrebbe pure “pubblicizzato” i tessuti smerciati dal marito, mercante di stoffe seriche, che se non furono i più lussuosi, certamente fra i più pregiati e fra i più richiesti sul mercato, i quali circolarono proprio grazie alla fervida attività di Francesco del Giocondo. 

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