A Firenze, Via dei Fossi è una piccola strada che collega Piazza Goldoni a Piazza Santa Maria Novella. Siamo in pieno centro e qui, nel 2014, è nata la libreria indipendente Todo Modo. L’insegna del negozio recita “libri, caffè, teatro”, ma il piccolo ingresso discreto non lascia immaginare quale realtà si spalanchi oltre la vetrina. Dopo aver attraversato la prima stanza, con le pareti tappezzate da scaffali pieni di libri, un piccolo corridoio porta all’Uqbar, il caffè-enoteca dove è possibile fermarsi per studiare, lavorare o fare una pausa davanti a un bicchiere. A fianco si apre una grande sala di lettura, spazio per gli eventi: il teatro. Ecco che l’insegna ha mantenuto le sue promesse. A tenere insieme queste molteplici realtà, fondendole in una sola, ci sono Maddalena e Pietro che, sempre pieni di nuove idee, sono riusciti a creare intorno a Todo Modo una vera e propria comunità, fatta di clienti affezionati e appassionati di libri e di buone etichette. Ma cosa significa, oggi, essere una libreria indipendente? Abbiamo chiesto ai due librai di raccontarci la loro esperienza.
Libreria, enoteca, bistrò, spazio eventi…Todo Modo è tante cose. Eppure il piccolo ingresso del locale non lo suggerirebbe. Come è nato questo progetto?
Maddalena: Quando abbiamo aperto, a Firenze le librerie indipendenti erano quasi scomparse e, secondo me, era venuta meno anche l’idea di andare in libreria con una certa modalità. Adesso non è più così: ce ne sono molte, una quasi per ogni quartiere. Questa forse è particolare, perché è fatta di più realtà, tutte collegate. L’architettura dello spazio ha contribuito alla creazione del luogo. Il caffè, per esempio, è stato pensato per essere un conforto per il lettore. Vi accede solo chi desidera farlo, dovendo necessariamente passare attraverso la libreria, quindi i miei clienti in qualche modo sono tutti filtrati: sono persone appassionate di libri e di vini, che non entrano qui in quanto avventori del bar o dell’enoteca. Inoltre, prima Firenze era afflitta dal turismo più scellerato, quindi, in bella vista, il bar avrebbe potuto essere aggredito. In questo modo, invece, si garantisce una certa tranquillità.
È nata prima l’idea dell’enoteca o quella della libreria?
M: Sono nate insieme, l’enoteca faceva proprio parte del progetto iniziale. Prima eravamo cinque soci, adesso siamo rimasti in tre: io, Pietro e il ragazzo che si occupa dei vini. La storia del vino in qualche modo corre parallela ed è sempre assimilabile a quella delle case editrici. Il collegamento si trova nella cura e nel racconto che entrambe fanno del loro contesto, che è quello intellettuale, nel caso delle case editrici indipendenti, e del territorio, nel caso dell’enologia. In entrambe c’è ricerca. Per esempio, Iperborea, che lavora sui nordeuropei, attraverso le traduzioni che ha proposto nel corso degli anni, è riuscita a raccontare la storia e il contesto di quei luoghi. Questo modo di fare ci piaceva. Ugualmente, abbiamo deciso di selezionare vini di piccoli produttori che prestano grande attenzione al territorio. Il nostro enologo sceglie tutti prodotti che abbiano un forte impatto ecologico.
Oltre all’Uqbar poi c’è lo spazio per gli incontri, funzionale per creare la comunità che poi, effettivamente, si è creata. Posso dire che questi tre spazi abbiano dialogato in maniera molto produttiva.
Todo Modo: citazione dagli Esercizi Spirituali di Ignazio di Loyola. Era proprio una comunità, quello che volevate riuscire a realizzare così tanto “ad ogni costo”?
M: Esattamente. È la cosa più bella ed era fondamentale. Io penso che le librerie che funzionano siano quelle che riescono ad aggregare persone interessanti: in questo modo anche la selezione dei libri migliora di anno in anno.
Le scelte della comunità influiscono sul vostro catalogo?
M: Sai il signore che è entrato e ha comprato quel bel libro di fotografia? È un appassionato di poesia. Ha ottimi gusti, so cosa legge. Prima mi ha chiesto di un poeta americano di cui in Italia c’è solo un titolo. Io ne ho ordinata una copia per lui e ne ho prenotata una anche per me. Ovviamente, non tutto quello che mi chiedono i clienti entra a far parte del catalogo, ma vale sempre la pena guardare di cosa si tratta. Se ci piace, allora resta. Succede spesso che abbiano ragione. La cosa divertente della libreria è che ci sono lettori che hanno molto credito. Per esempio, per i gialli: ci sono lettori scafatissimi che mi indicano dei titoli e so che, se li propongo, saranno libri che potranno piacere.
Quindi il vostro catalogo prende forma di volta in volta, collettivamente. Alla base, però, che filosofia c’è?
M: Quando abbiamo iniziato a pensare l’impianto per creare la libreria, abbiamo chiesto a moltissimi scrittori amici nostri, non solo italiani ma anche internazionali, di indicarci una serie di titoli. Questo era proprio all’inizio, era una cosa carina: i loro suggerimenti erano segnalati da un bollino verde. In generale, non ci occupiamo solo di piccole case editrici indipendenti, ma anche di grandi. È importante avere un catalogo di una certa entità, perché il piccolo catalogo, sicuramente di qualità e con una bella selezione, ti priva però della possibilità di dialogare con il pubblico. Io ho sempre anche l’ultimo dei super best seller perché, come libraia, la cosa che mi piace di più è trovarmi davanti a un lettore che si approccia soltanto a un certo tipo di letteratura e portarlo, pian piano, a conoscere altro che potrebbe fare per lui. Il problema di questa scelta è che il momento della selezione è davvero difficile, perché dobbiamo prendere in considerazione sia i piccoli che i grandi distributori. Nel nostro caso, poi, visto che abbiamo anche libri in lingua originale, il lavoro è doppio. Lo stesso vale per le riviste. Avere pochi titoli su cui puntare sarebbe molto più semplice, ma facendo solo certe proposte non andresti incontro al pubblico che ti circonda. Nelle grandi catene, in proporzione, c’è meno scelta che qui, perché di solito tengono molti volumi, ma dello stesso titolo. Io invece, ad eccezione delle nuove uscite e di periodi particolari, come Natale, tengo una sola copia per titolo. Dello stesso autore, però, magari ho opere che non troveresti altrove. Dobbiamo riassortire continuamente. Questa non è una logica prettamente finanziaria. È commerciale, perché cerco di dare un’offerta che non esiste, nel tenere, di autori che ci piacciono, il maggior numero di titoli possibile e non solo i più famosi. In questo modo diamo al lettore la possibilità di scoprire anche mondi meno comuni.
Nel 2019 vi siete estesi, prendendo anche uno spazio all’interno di Manifattura Tabacchi, chiamato Libri E-Lettrici. È il nome anche del vostro gruppo di lettura. Di cosa si tratta?
M: Libri E-Lettrici è appunto il nostro gruppo di lettura, anch’esso funzionale alla creazione della comunità, che dialoga e cresce ogni volta. Al suo interno ci sono lettori eccezionali. Da poco ho fatto leggere i racconti di Djuna Barnes, autrice di cui non si sente più molto parlare. Ho scelto quelli e non il suo romanzo più famoso perché, anche se bellissimo, è difficile e adatto a un lettore allenato. Di Libri E-Lettrici invece fanno parte tanti tipi di lettori. Devo dire che ne sono rimasti molto entusiasti e sono venuti a ringraziarmi, perché si sono avvicinati a un’autrice che esulava dal loro percorso e che forse altrimenti non avrebbero mai intercettato.
Sei tu a proporre i consigli?
M: Sì, poi ovviamente c’è un’interlocuzione con gli altri
Le tue proposte seguono i gusti dei partecipanti?
M: Assolutamente no. La cosa bella di un gruppo di lettura è proprio non andare a intercettare un gusto, ma fare un percorso. Abbiamo stilato un vero e proprio catalogo, composto di tutte autrici o figure femminili che, anche se non vanno di moda, rimangono e lasciano una traccia importante. In questo senso, dietro c’è una ricerca. Fra l’altro, il gruppo si è avvalso anche della collaborazione di importanti associazioni, come Artemisia, e ha varie interazioni con l’Università: funziona. Non è un gruppo solo per donne, comunque, ci sono anche uomini. Adesso purtroppo è tutto in remoto, ma penso che lasceremo la possibilità di partecipare in questo modo anche più avanti: i timidi lo preferiscono, e poi ci sono tante persone che amano ascoltare parlare di libri, anche se ancora non li hanno letti. È comunque un arricchimento, senti tanti pareri. Magari scegli di comprarli successivamente.
Nello spazio di Manifattura Tabacchi prende forma anche la collana Serendipity, edita da Todo Modo Publishing. Un po’ come in Se una notte d’inverno un viaggiatore, i lettori si trovano davanti a libri che hanno in copertina titoli che non corrispondono al loro contenuto. Di cosa si tratta?
M: Entrambi i progetti, in realtà, sono relativi a questa sede. Là abbiamo soltanto il deposito e l’officina, dove produciamo fisicamente i volumi. Abbiamo voluto dargli il nome del gruppo di lettura perché ci faceva piacere assegnargli simbolicamente uno spazio. Per Serendipity abbiamo sviluppato una serie di grafiche. Il lettore sceglie un titolo fra quelli proposti e dentro trova un consiglio di lettura da parte del suo libraio. Si tratta di bei libri usati e selezionati, chiaramente in ottime condizioni, che in qualche modo rimandano al paradigma del titolo di copertina, magari per un personaggio che gli è riconducibile. Sono però sempre di una tradizione letteraria diversa. Spesso si tratta di autori interessanti, ma poco letti. Proponendoli così abbiamo voluto provare a “piantare un semino”, a riprodurre quello che succede quando entri in libreria cercando, non so, un libro sulla vodka e torni a casa con uno su come sposarsi in dieci giorni, capito?
Dopo tante iniziative e tanti eventi, arriva marzo 2020, con tutte le sue conseguenze. Todo Modo chiude, come tutti, ma solo la saracinesca. Infatti si trasforma subito in Todo Domo, un servizio di consegna a domicilio non solo di libri, ma anche di buone etichette e prodotti da forno. Come è stato gestire la libreria durante il lockdown?
M: Per alcune settimane, in quel periodo, è successa una cosa incredibile: Amazon ha deciso di non consegnare libri, vista l’enorme quantità di ordini che riceveva. Le librerie allora si sono organizzate, a livello nazionale, per farlo. Dico che è stato incredibile soprattutto perché le persone si sono rese conto che si può ordinare online anche dalle piattaforme delle librerie indipendenti e non solo su Amazon. Quello che ancora non è passato, forse perché non viene pubblicizzato abbastanza, è che, grazie alla nuova legge del libro, Amazon non fa più sconti: prima faceva il 15%, ma adesso non può fare più del 5%. Questo però ancora non viene percepito e permane l’idea che gli acquisti lì siano più convenienti. Inoltre, acquistando su Amazon si fa un dispetto all’editore. Anche questo viene poco pubblicizzato: l’editore ricava una somma diversa a seconda che un libro venga acquistato su Amazon, in una libreria di catena o in una libreria indipendente, perché fa loro diversi gradi di sconto. Ad avere gli sconti peggiori sono le librerie indipendenti: sostenerne una, quindi, significa sostenere anche gli editori. È importante prendere coscienza di tutto questo, perché fra qualche anno Amazon diventerà talmente potente che potremo farci ben poco, e si tratta di un problema che riguarda anche i grandi editori, non solo i piccoli.
Questa situazione, però, esisteva anche prima del lockdown…
M: Sì, è vero. Però è come se ci fossimo svegliati adesso. Potevamo pensare prima anche alla possibilità di consegnare a domicilio. In questo senso il lockdown è stato un acceleratore.
In quel periodo avete incrementato anche la vostra attività sui social, proponendo settimanalmente un titolo a testa, nelle vostre varie rubriche: Concupiscenza libraria, Belli da leggere, Mercoledì da lettori e Almaritmo. Anche loro sono nate in funzione del lockdown, o avevate già pensato di fare qualcosa di simile?
M: No, anche le video-rubriche sono nate per questa occasione. Con la libreria chiusa abbiamo avuto modo di pensare a tante cose che prima, sempre circondati da persone, non prendevamo in considerazione. Ci siamo resi conto che volevamo parlare alla nostra comunità di riferimento non solo vis-à-vis, ma anche in maniera più diffusa. Alcune rubriche sono nate quasi per scherzo, altre perché ce le hanno chieste.
Pietro: Senza il lockdown probabilmente non solo non avremmo mai fatto le video-rubriche, ma non avremmo neanche creato l’e-commerce. Quando mai avremmo avuto il tempo? Noi facciamo tutto a mano. Abbiamo ventimila titoli: sul sito ce ne sono ancora molti meno.
Spesso i libri si comprano proprio perché decidiamo di fidarci di un consiglio. Le vostre video-recensioni erano semplici e simpatiche, ma soprattutto spontanee. L’anno scorso, guardarle mi ricordava il bello di entrare in libreria con una vaga idea, con una piccola voglia, e arrivare a scegliere con l’aiuto del libraio. Nel caso dei vostri video, però, il consiglio nasce per forza di cose spontaneo, senza il confronto diretto con uno specifico lettore. Come sceglievate i libri da proporre?
M: Ogni rubrica aveva una sua linea. Concupiscenza libraria era dedicata alle novità. Mercoledì da lettori era fatta per Manifattura Tabacchi: cercavamo di dare consigli adatti a tutti, mantenendoci all’interno del catalogo. Belli da leggere, invece, era fatta per Repubblica ed è la sola che continueremo a portare avanti. Ovviamente è sempre difficile, in questo modo, dare consigli specifici. Abbiamo cercato di mantenerci su una linea generale, trattando un po’ di tutto, ma comunque seguendo anche i nostri gusti. È anche successo che qualcuno sia rimasto insoddisfatto, ma era un rischio che avevamo messo in conto.
P: Non potendoci rapportare a un terzo, abbiamo cercato di impostare i video come se fossero una conversazione fra di noi, diventando l’uno il lettore di riferimento dell’altra, e viceversa. Questo nostro scambio di impressioni da qualcuno è stato anche criticato, per il tono troppo colloquiale. Poi c’era Almaritmo, che voleva mostrare il procedimento contrario a quello dell’algoritmo su cui si basa Amazon.
M: Dietro a questo c’era un grandissimo lavoro di redazione. Con il pubblico sceglievamo un tema e su questo indicavamo un libro, una musica e un ospite. Ad esempio, quando il tema è stato il sangue, abbiamo invitato un macellaio famoso; quando il tema erano gli alberi, è venuto Mancuso.
Tornando a quello che dicevamo prima, sicuramente quest’anno c’è stata un’accelerazione generale sia nel processo di digitalizzazione dei contenuti, sia per quanto riguarda gli acquisti online. Pensate che l’incremento di questi ultimi sia un processo irreversibile, oppure avete notato nei clienti la voglia di tornare in libreria?
M: No, non è irreversibile. Lo stesso Amazon sta aprendo delle librerie, perché si è reso perfettamente conto che l’esperienza che fai entrando e camminando in una libreria non la puoi replicare: non c’è algoritmo che tenga. Io credo che l’esigenza di un luogo fisico esisterà sempre, perché fa parte della natura delle persone aver bisogno di dialogo e di contatto.
P: Nel momento in cui si sono riaperte le porte abbiamo visto che i lettori avevano voglia di tornare.
Si può dire comunque che il bilancio post lockdown sia inaspettatamente positivo?
P: Non so, è difficile fare un bilancio complessivo. Dobbiamo considerare la libreria in tutti le sue componenti, quindi anche il bar e la parte dedicata agli eventi. Di questi, solo la libreria è sempre rimasta e, anzi, si è rinforzata grazie all’online. Il bar funziona soltanto finché siamo in zona gialla, cosa che potrebbe sempre cambiare da un momento all’altro. Gli eventi invece non li facciamo più. Il dato positivo, quindi, deve essere contestualizzato. Sicuramente abbiamo incrementato le vendite e la libreria è rimasta tonica. Siamo come un barattolino di bibita gassata scosso, ma con ancora il tappo chiuso.
Per quanto riguarda gli eventi, prima ne facevate moltissimi, quasi uno al giorno. Come mai non avete pensato di portare avanti anche questo aspetto, magari con delle dirette?
M: I primi anni ne facevamo veramente moltissimi, poi abbiamo iniziato a ridurre, cercando anche di selezionarli maggiormente. Negli scorsi mesi non ne abbiamo fatti, devo dire, se non pochissimi. Ci siamo resi conto che non erano nelle nostre corde. Ne rifaremo sicuramente quando sarà possibile, magari questa estate, all’aperto. Però saranno molto diversi da quelli che facevamo prima.
Tocchiamo adesso un tasto dolente: Firenze Testo. Il festival, rimandato a causa del Covid, avrebbe messo in primo piano tutto quello che si trova nel dietro le quinte dell’oggetto libro, dando spazio a editori, traduttori, grafici e a tutti coloro che si occupano della sua creazione. Come è nata questa esigenza?
P: Avevamo notato una ripetizione eccessiva nella tipologia delle fiere. Quello che mancava era l’idea di una fiera a sistema, che non facesse vedere soltanto il prodotto finale. Siamo partiti dalla suggestione che ci fossero due solitudini: quella del lettore quando legge, e quella dello scrittore quando scrive. In mezzo a queste si crea un movimento di innesti, che partono dal tipografo, dall’editore e così via. Volevamo fare un festival che raccontasse il libro dalla sua nascita al termine della sua produzione: dalla solitudine dello scrittore alla solitudine del lettore. Abbiamo presentato il progetto a Pitti, che a Firenze è un’istituzione, e gli è piaciuto molto. La fiera si sarebbe dovuta tenere alla Leopolda. Avevamo pensato di articolarla su sette diverse stazioni, ognuna dedicata a un momento diverso: il manoscritto, la tipografia, la traduzione, eccetera. Volevamo mostrare tutte le professionalità che si nascondono dietro all’oggetto libro. Avrebbero partecipato 100 editori.
La prima edizione avrebbe dovuto essere lo scorso marzo, ma ovviamente avete dovuto rimandare. Resta comunque nella lista dei progetti per il futuro?
M: Ci stiamo organizzando per febbraio 2022. L’impianto rimarrebbe quello che avevamo tratteggiato inizialmente, ma per allora speriamo di implementare ulteriormente i seminari, dando al festival un’impronta molto più professionalizzante. Lo avevamo pensato per un pubblico vasto, ma adesso ci piacerebbe anche coinvolgere scuole e università, diventare un punto di riferimento per chi volesse, appunto, professionalizzarsi.
Come è stato annullare un festival a così poco tempo dal suo avvio?
M: Io ci ho messo praticamente tutto l’anno a riprendermi dal trauma di aver consegnato un programma completo, aver invitato ospiti internazionali, e poi veder saltare tutto. Mancavano solo due o tre settimane al suo avvio, qualcuno aveva già acquistato il biglietto. Fortunatamente, trattandosi di una prima edizione, non siamo stati costretti a trasferirlo online, per garantire una certa continuità. Non avrebbe neanche avuto senso. Avremmo potuto spostare Firenze Testo alla scorsa estate o a quest’anno, ma non volevamo sovrapporci ad altri eventi, come il Salone di Torino o Mantova, lasciando loro la precedenza. Del resto, noi ancora non esistevamo.
In base a cosa avete scelto gli editori?
P: Qualità. Te lo dico francamente.
Fra questi ci sono gli immancabili del vostro catalogo?
M: Onestamente, ad eccezione dei minuscoli, con un catalogo troppo ristretto per partecipare a una cosa del genere, avevano aderito tutti quelli che volevamo, mostrandosi anche molto entusiasti. Il primo a cui abbiamo chiesto è stato Adelphi, ma anche al Saggiatore e ai grandi editori indipendenti: io non potrei avere la libreria senza avere gli Einaudi, i Guanda, i Bollati Boringhieri o i Neri Pozza, per esempio. Hanno degli autori troppo importanti. Come si fa a stare senza l’ultimo di De Lillo, o l’ultimo di Javier Marías? Impossibile.
E oltre a questo, adesso che progetti ha Todo Modo per il futuro?
M: Speriamo di poter fare qualche evento all’aperto, vediamo. Sicuramente ci concentreremo sulla letteratura in lingua, che abbiamo scoperto essere molto richiesta. Quindi incrementeremo quell’aspetto.
P: E poi stiamo lavorando a un gran progetto originale: Radio Todo Modo.
M: Sì, è rimasta l’esigenza di comunicare con l’esterno, di raccontare cosa facciamo. Parleremmo di tutto, non solo di libri. Magari li useremo come spunto, ma non ci concentreremo solo quelli.
P: Ecco, adesso che te l’ho detto ci imiteranno tutti! Mi raccomando, specifica che siamo stati i primi ad avere l’idea: c’è il copyright!