Recentemente, su internet, mi sono imbattuto nella pagina enciclopedica meno convenzionale che abbia mai letto su Giacomo Leopardi. Nella sezione introduttiva lo scrittore viene definito (traduco dall’inglese) “il più noto poeta della letteratura moderna italiana” e, subito sotto, a completarne il quadro biografico e intellettuale, leggo:
Nel corso della sua intera vita Leopardi fu un truecel, dato che era alto un metro e quarantuno centimetri e aveva sofferto di deformità scheletriche fin dalla nascita. Nella sfera italiana incel, egli non è considerato solo un protocel, ma anche il precursore dell’ideologia blackpill.
Il sito da cui è tratto il passo si chiama Incelwiki e, come si intuisce dal nome, è strutturato sul modello di Wikipedia. Come altri siti mossi dalle stesse velleità specialistiche, Incelwiki mira all’enciclopedizzazione di una particolare galassia di interesse, in questo caso quella dei sedicenti incel: gli involuntary celibate che sui forum di internet lamentano la propria frustrazione dovuta all’assenza di esperienze e prospettive affettivo-sessuali.
Gli incel sono ben più di un gruppo eterogeneo di persone accomunate dall’essere single-non-per-scelta. Si tratta una vera e propria sottocultura, nata e cresciuta nella fitta boscaglia di chat e forum online e di cui il vasto pubblico ha scoperto l’esistenza in seguito alle stragi oltreoceano compiute da presunti affiliati al movimento. La galassia incel è esclusivamente maschile e pone le sue fondamenta su particolari acquisizioni sociologiche, esistenziali e terminologiche – da qui il gergo con cui definiscono Leopardi (truecel, protocel, blackpill) – tra le quali: una visione schiettamente materialista e misogina del “mercato” affettivo-sessuale, dominato dalle donne e dalla minoranza degli uomini avvenenti, due categorie biologicamente e culturalmente privilegiate; una marcata autocommiserazione da parte della maggioranza degli uomini non avvenenti, spesso incoraggiata tramite il confronto e la socializzazione online con altri incel; l’ossessione per il proprio aspetto fisico, declinata sia in chiave psico-cognitiva, nella ricerca di parametri armonici che rendano oggettiva e quantificabile la bellezza, sia nei suoi risvolti socio-politici, arieggiando una lotta di classe nella quale gli oppressi sarebbero per l’appunto i brutti di sesso maschile.
Il tentativo onnivoro di ricostruire una storia del pensiero incel tramite l’appropriazione di autori del passato è da un lato dovuto alla necessità di fortificare un pensiero tutto sommato debole, dall’altro a quella di ampliare il respiro delle proprie considerazioni e del proprio immaginario, storicizzando in qualche modo le proprie rivendicazioni sul modello dell’attivismo femminista. Del resto, non è difficile trovare intellettuali o artisti che abbiano espresso, da uomini, valutazioni in linea con il risentimento misogino che è alla base della cultura incel: la stigmatizzazione del genere femminile è un vero e proprio topos di cui la storia della cultura è manifestamente colma. L’incelizzazione di Leopardi è però interessante perché mette in luce dinamiche relative sia all’identificazione degli incel sia alla fortuna del poeta-pensatore. In un certo senso, infatti, potremmo guardare a ‘Leopardi incel’ come all’ennesima incarnazione ideologica del poeta di Recanati.
Pochi autori italiani hanno subito come Leopardi un così fitto incasellamento interpretativo da parte degli studiosi. Leopardi classico, Leopardi romantico, Leopardi risorgimentale, Leopardi filosofo o non-filosofo, Leopardi ottimista, Leopardi pessimista, Leopardi degenerato, Leopardi progressivo sono alcune delle maschere attraverso cui un secolo e mezzo di critica, attraverso i filtri dell’hegelismo, del crocianesimo, del nazionalismo, della critica psichiatrica o psicanalitica, dell’impegno politico, ha cercato di definire la postura intellettuale di questo autore nei confronti dell’esistenza, prima ancora che della letteratura. Un ulteriore tassello di questa sequenza potrebbe essere quello di Leopardi omosessuale, suggestione un tempo relegata a una dimensione di maldicenza e gossip, ma di cui si è tornati a discutere dopo la pubblicazione di un recente saggio di Franco Buffoni relativo a una presunta vita segreta del poeta: questo è in effetti il caso più vicino alla lettura incel, soprattutto per via dell’attenzione biografica posta sulla possibile repressione degli istinti affettivi e sessuali di Giacomo.
La tesi secondo cui Leopardi sarebbe un protocel, cioè un anticipatore della sensibilità incel, un truecel, cioè qualcuno che ha sperimentato in prima persona le conseguenze della propria repellenza e che non si appropria indebitamente delle istanze incel, o addirittura il primo incel italiano, cioè il primo ad aver sistematizzato alcuni elementi cardine di questa sottocultura, si traduce in ogni caso in un’enunciazione precisa: Giacomo Leopardi era un uomo infelice e frustrato per via dei propri insuccessi amorosi, questi erano dovuti alla sua bruttezza e lui ne era consapevole.
Le prove a sostegno di questa visione sono variamente esposte su blog e forum. La più saliente è quella relativa al pensiero intorno alla bruttezza fisica espresso nel celebre Ultimo canto di Saffo, composto nel 1822. In un preambolo alla composizione scritto tre anni dopo, Leopardi afferma di aver voluto rappresentare in questa poesia l’“infelicità di un animo delicato, tenero, sensitivo, nobile e caldo, posto in un corpo brutto e giovane”. Affermazione che, nella grammatica incel, descrive alla perfezione la condizione del maschio sensibile e privo di attrattiva fisica costretto al ruolo di eterno perdente nella competizione sessuale. La Saffo leopardiana, prima di suicidarsi a causa di un rifiuto amoroso, condensa il suo dolore in un verso che è considerato da diversi incel un vero e proprio manifesto: “Virtù non luce in disadorno ammanto”, ovvero, parafrasando: “le qualità di un individuo non risplendono se sono poste in un corpo privo di bellezza”. Da questa consapevolezza alla definitiva distruzione dell’illusione amorosa espressa in A se stesso (“Or poserai per sempre, / Stanco mio cor. / Perì l’inganno estremo”) intercorrono undici anni di riflessioni, produzione letteraria e delusioni sentimentali.
A testimoniare una frustrazione sentimentale e sessuale lontana dal lessico aulico della lirica rimarrebbe, per i critici incel, la scrittura privata dell’epistolario. Una lettera del 1822 spedita da Roma al fratello Carlo, ad esempio, rivela con schiettezza il desiderio inappagato del giovane recanatese:
mi ristringerò solamente alle donne, e alla fortuna che voi forse credete che sia facile di far con esse nelle città grandi. V’assicuro che è propriamente tutto il contrario. Al passeggio, in Chiesa andando per le strade, non trovate una befana che vi guardi. Io ho fatto e fo molti giri per Roma in compagnia di giovani molto belli e ben vestiti. Sono passato spesse volte, con loro, vicinissimo a donne giovani: le quali non hanno mai alzato gli occhi; e si vedeva manifestamente che ciò non era per modestia, ma per pienissima e abituale indifferenza e noncuranza: e tutte le donne che qui s’incontrano sono così.
Se già l’appellativo di “befana” può risultare insolito a un lettore che conosce solo scolasticamente il poeta di Recanati, il pezzo seguente è ancora più destabilizzante per gli affezionati all’immagine di un Leopardi timido e malinconico che si è sedimentata nell’immaginario collettivo:
Trattando, è così difficile il fermare una donna in Roma come a Recanati, anzi molto più, a cagione dell’eccessiva frivolezza e dissipatezza di queste bestie femminine, che oltre di ciò non ispirano un interesse al mondo, sono piene d’ipocrisia, non amano altro che il girare e divertirsi non si sa come, non la danno (credetemi) se non con quelle infinite difficoltà che si provano negli altri paesi. Il tutto si riduce alle donne pubbliche, le quali trovo ora che sono molto più circospette d’una volta, e in ogni modo sono così pericolose come sapete.
Superbe, frivole, bestiali, intente solo a divertirsi, indifferenti ai poveri corteggiatori, non facili a concedersi sessualmente se non con “infinite difficoltà”, tanto da costringere gli uomini a ricorrere alle prostitute: questo è precisamente il ritratto delle donne che è dominante nell’immaginario della cosiddetta redpill. Sviluppatasi all’interno della galassia incel, la teoria della pillola rossa, metafora presa in prestito da una celebre scena del film Matrix, indica la presa di coscienza da parte degli uomini della differenza biologica che intercorrerebbe tra maschi e femmine per ciò che riguarda l’attrazione e la selezione sessuale, naturalmente sbilanciata a favore delle seconde, cui è spesso rivolto l’epiteto disumanizzante di “not person” a causa della presunta insensibilità nei confronti dei maschi che soffrono.
Leggiamo ora la lettera senza stravaganti filtri contemporanei. Le parole di Leopardi – che, ricordiamo, appartengono a un corrispondenza privata – sono quelle di un giovane nobile di primo Ottocento mai vissuto al di fuori della minuscola Recanati e giunto per la prima volta della sua vita a Roma carico di aspettative esistenziali – e ormonali: le sue speranze, però, già deluse per altri aspetti dalla città di Roma, non sono destinate a tradursi in alcuna conquista amorosa. Torniamo agli incel e alla loro appropriazione: nella galassia dei cosiddetti redpillati, la capacità di attaccare bottone e fare nuove conoscenze femminili è considerata un vero e proprio settore di studi, l’arte del rimorchio, cinico insieme di tecniche e stratagemmi volti all’abbindolare una donna, cercando di ridurre il percorso di “infinite difficoltà” che divide l’uomo dalla sua meta sessuale.
In definitiva, basterebbero un rinomato brutto corpo, una biografia da sfortunato in amore e l’asserzione che un aspetto sgradevole renda più difficile la vita a incoronare Leopardi come primo incel italiano? Pare proprio di sì, e questo non deve stupirci. La sottocultura incel tende a sistematizzare aspetti della vita o della società che costellano il sentire collettivo in qualità di stereotipi, mezze-verità o banali dati di fatto e ne fa degli assoluti, in un duplice movimento psicologico: si parte da esperienze personali negative a cui si attribuisce necessariamente una causa biologica o estetica; acquisita questa consapevolezza ineluttabile, non si potrà che avere altre esperienze negative, autoalimentando i propri stereotipi su sé stessi. E, d’altronde, non sorprende che una visione del mondo fondata intorno al meme chad vs virgin (il bellimbusto che ha successo con le donne messo a confronto con il perdente senza esperienza) canonizzi un autore già abbondantemente stereotipato anche per via dell’insegnamento scolastico. La stessa etichetta di “pessimista” attribuita a Leopardi dai manuali scolastici, ormai superata in ambito accademico (Leopardi scrive la parola “pessimismo” una volta sola, nello Zibaldone, e in senso dispregiativo), afferisce spesso a tre – talvolta quattro – cristallizzazioni critiche (il pessimismo individuale, storico, cosmico, eroico) che individuano delle visioni del mondo ben definite ma che nella realtà del pensiero di Leopardi sono sempre parziali, sfumate, inserite in un contesto evolutivo e non privo di contraddizioni.
Se sottrarre all’immaginario dei celibi involontari uno scrittore tanto canonizzato può contribuire a rendere meno autorevoli alcune teorizzazioni tossiche e autodistruttive, d’altra parte prendere atto della fortuna incel che ha riscontrato Leopardi è più importante di chiedersi se fosse o meno incel. Allo stesso modo, tornando alla critica, una frase come “Leopardi non era pessimista” è difficilmente sondabile attraverso le categorie di vero e falso. Se Leopardi non ha mai dichiarato di essere pessimista, è vero anche che il suo pensiero si misura continuamente con l’esperienza del dolore provato dagli esseri senzienti all’interno del sistema della natura, indifferente creatrice-disgregatrice di ogni cosa, con un giudizio (negativo) nei confronti della realtà esperita dal soggetto, con la costatazione di una caducità (delle illusioni, della vita), con il tentativo di elaborare una strategia per vivere alla meno peggio nel mondo (il sogno, i ricordi, la “social catena” della poesia La ginestra). Leopardi ha inoltre avuto influenza su pensatori che si definiscono pessimisti; fa parte, ad esempio, del pantheon pessimista che ha ispirato lo scrittore horror e saggista Thomas Ligotti, autore della discussa Cospirazione contro la razza umana. A conti fatti, in effetti, l’anello di congiunzione tra Leopardi e gli incel potrebbe risiedere proprio nelle forme contemporanee del pessimismo filosofico.
La figura femminile negli scritti leopardiani oscilla in uno spazio discorsivo che va dall’idealizzazione alla satira misogina (di cui sono chiari gli echi provenienti dalla tradizione letteraria); il passaggio dall’idea immaginata della donna a una realtà demistificata implica un senso di caduta, che è dominante in tutta l’opera leopardiana ogni qual volta sono implicate le illusioni. Dalle giovanili Memorie del primo amore, passando per le Operette morali e i Canti, il sentimento amoroso viene studiato, anatomizzato, celebrato. Illusione suprema in grado di combattere la caducità dell’esistenza dando intensità alla vita, l’amore, decadendo come le altre illusioni, acuisce come non mai la percezione di questa stessa caducità. La rabbia incel si fonda anch’essa sul tradimento delle aspettative, sulla demistificazione dell’idea rassicurante e consolatoria che l’amore debba venire ricambiato, che esista un ordine sentimentale in grado di garantire la soddisfazione degli animi sensibili dei maschi. Sia la caduta leopardiana che quella degli incel va ascritta però a una dimensione più alta, quella del crollo di ogni ordine consolatorio dell’esistente. In una lettera del 1832, Leopardi scrive:
Quali che siano le mie disgrazie […] io ho avuto coraggio sufficiente per non cercare di diminuirne il peso, né attraverso frivole speranze di una pretesa felicità futura, né attraverso una vile rassegnazione. […] È stato proprio in seguito a questo coraggio che, portato in base alle mie ricerche ad una filosofia disperata, io non ho esitato ad abbracciarla interamente; d’altra parte, invece, è stato per effetto della vigliaccheria degli uomini, che hanno bisogno di essere convinti del pregio dell’esistenza, che si sono volute considerare le mie opinioni filosofiche come il risultato delle mie sofferenze particolari, e che ci si ostina ad attribuire alle mie situazioni materiali ciò che deve essere attribuito solo al mio intelletto.
Mentre Leopardi respinge con forza l’accusa secondo cui la propria concezione del mondo dipenda dalle sofferenze personali (la rinomata precarietà del suo stato fisico), gli incel ne fanno un punto di partenza di un circolo che, fondandosi sulla propria mancanza di appeal sessuale, giunge alla postulazione di leggi biologiche che regolano inesorabilmente il mondo sociale.
Portate alle estreme conseguenze, queste postulazioni si condensano nel pacchetto pseudofilosofico della pillola nera. Attribuita a Leopardi da Incelwiki e punto di incontro tra incel radicali e pessimisti contemporanei, l’ideologia blackpill condensa ed estremizza le posizioni di pessimismo fin qui descritte; spostando il focus da un piano di sofferenza individuale e in qualche modo gestibile (quello espresso nella redpill) alla disperazione biologicamente iscritta nella totalità dell’esistente, la pillola nera traduce nel linguaggio semplificato e ammiccante di internet l’etichetta del pessimismo cosmico™ leopardiano. Sia Leopardi che i blackpillati giungono a questo stadio di consapevolezza attraverso livelli intermedi di disillusione: l’impossibilità di raggiungere una felicità originaria e primitiva sono dovuti, per il primo, all’avvento della civiltà moderna, per i secondi, come esemplifica il loro idolo e precursore Michel Houellebecq, alla rivoluzione sessuale novecentesca che ha liberato il desiderio femminile e privato gli uomini della soddisfazione sentimentale. In ogni caso, assumere la pillola nera significa, per il pessimista, trovarsi di fronte, dischiusa una volta per tutte, l’insensatezza e l’orrore cosmico che pervade ogni strato della realtà.
Davanti a tale orrore sia Leopardi che i red/blackpillati assumono una posizione inattuale per i propri tempi, coltivando la convinzione martiristica di possedere una verità avversata dalla maggioranza degli uomini e perseguendo la propria filosofia scomoda e disperata, sotto la derisione dei pensatori progressisti contemporanei. E, a dire il vero, i profili degli incel più verbosi che popolano i blog e i forum ricordano vagamente quello di Leopardi: individui culturalmente molto curiosi, dalla forte propensione all’emotività e all’introspezione analitica, attratti dalla mitizzazione di una virilità premoderna felice e stereotipata: da questo punto di vista, rovesciando la loro appropriazione, sono proprio gli incel a dimostrarsi leopardiani. Almeno fino a un certo punto.
Il sistema di pensiero leopardiano è aperto, contraddittorio, in evoluzione, empatico verso gli altri esseri viventi, soprattutto fondato sull’assenza di una certezza stabile. Tra i tanti esempi, prendiamo un passo dello Zibaldone del 1821:
Il mio sistema introduce non solo uno scetticismo ragionato e dimostrato, ma tale che, secondo il mio sistema, la ragione umana per qualsivoglia progresso possibile, non potrà mai spogliarsi di questo scetticismo; anzi esso contiene il vero […] ma il vero consiste essenzialmente nel dubbio, e chi dubita, sa, e sa il più che si possa sapere
La verità per Leopardi non è uno stato di realtà demistificato e definitivo a cui accedere dopo aver ingurgitato una pillola. Parafrasando Matrix, la tana del Bianconiglio non è solo profonda, ma infinita. A dimostrarlo è il corpus sterminato dei testi leopardiani, e in particolare lo Zibaldone: il lettore non si trova di fronte a un ripetersi sterile della stessa visione, ma a verità aperte o sospese, contro-verità, puntualizzazioni, correzioni delle precedenti, contraddizioni. Tornando alla questione femminile, il tema che ha dato origine all’ideologia incel, basta un caso non molto conosciuto della produzione lirica di Leopardi a incrinare il cherry-picking degli ideologi del celibato involontario.
Nel 1819 Leopardi abbozza due canzoni che non vedranno mai la pubblicazione, oltre che per ragioni di resa estetica, per motivi di censura. I due componimenti, a cui la critica si riferisce come “canzoni rifiutate”, si basano su eventi di cronaca realmente accaduti; sono rispettivamente intitolati, nella provvisorietà degli abbozzi leopardiani, Per una donna inferma di malattia lunga e mortale e Nella morte di una donna fatta trucidare col suo portato dal corruttore per mano ed arte di un chirurgo e hanno per tema la fragilità del femminile all’interno del sistema della natura e nella società contemporanea. Nella morte di una donna, in particolare, racconta dell’aborto chirurgico, necessariamente clandestino, a cui era stata indotta dal proprio amante una giovane donna sposata e che ne aveva provocato la morte: in questa poesia Leopardi non solo eleva il genere femminile a paradigma della caducità di tutti viventi – lo definisce “gener frale” –, ma arriva a difendere la donna morta da ogni colpa, rivolgendo le proprie accuse all’uomo che, per preservarsi nel decoro pubblico, l’aveva spinta a un intervento rischioso e il cui esito evidenzia la doppia oppressione subita dalle donne: sociale e naturale, essendo queste ultime a dover portare in grembo loro figlio.
È il corpo delle donne, nella sua manifestazione fisica, fino alla pratica abortiva, a essere il punto centrale della riflessione esistenziale e dell’empatia di Leopardi: per un autore che scrive in pieno clima di Restaurazione, cresciuto in una famiglia di ferventi cattolici, sotto il dominio dello Stato della Chiesa, non è poco. E, del resto, la manifestazione della sensibilità di Leopardi nei confronti del genere femminile non si limita a queste due poesie: non è un caso se proprio l’Ultimo canto di Saffo viene fatto pronunciare a una donna. Leopardi è persuaso infatti che siano le donne, e non gli uomini, gli esseri per eccellenza a soffrire della mancanza di bellezza, in una civiltà che le ha stereotipate e schiacciate a causa della maggiore fragilità biologica: con questo gli incel non sarebbero certamente d’accordo.