Gender studies in pellicola

di Federica Perinzano


Il cinema degli anni duemila si è dovuto confrontare non solo con il mondo di internet e dei servizi di streaming a pagamento, ma anche con i riflessi degli attentati dell’11/9 che hanno influenzato di molto la sua produzione. Se moltissime produzioni del post 11 Settembre si sono concentrate principalmente sul filone dell’apocalittico e del post-apocalittico, c’è stato chi come Xavier Dolan si è allontanato da questa tendenza e ne ha creata una tutta sua.

Dolan, classe 1989, l’ex enfant prodige, regista e attore di talento, ha dato vita ad una nuova corrente di film e serie tv ascrivibili a quello dei gender studies, ovvero un filone di studi scientifici, incentrati sul femminismo, l’omosessualità, le minoranze e i problemi legati al razzismo e all’oppressione nel mondo della globalizzazione.

Dolan ha voluto posare il proprio sguardo, più che sugli eventi, sulla rappresentazione dei rapporti tra gli individui rispetto al contesto di appartenenza. In particolare, la paura collettiva nei confronti di un futuro sempre più precario tipico del mondo dopo gli attentati del 2001, ha favorito la rappresentazione di individui che vogliono riappropriarsi della propria individualità. Come Dolan, anche altri talentuosi registi hanno fatto propria questa necessità di raccontare le individualità più marginalizzate, come il regista italiano Luca Guadagnino e l’emergente Sam Levinson con il suo Euphoria (2019).

Dolan e la sua rivoluzione

Dolan, nel 2012, realizza il suo terzo film d’autore, “Laurence Anyways”.

La pellicola si concentra sulla transizione dal maschile al femminile ed è il simbolo del caos identitario dei giorni nostri, nonostante sia ambientato nel decennio che precede il “bug” che avrebbe dovuto azzerare il nuovo millennio. Affronta il tema della transessualità, denunciando la necessità di una rivoluzione che apra le possibilità a tutte le espressioni di genere.

Il film è composto da episodi avvenuti nella vita dei due protagonisti, tra l’89 e il 99.

Laurence Alia decide di fare coming out all’età di trentacinque anni e di agire a lavoro e nella vita privata adeguatamente alla propria identità sessuale, dopo averla nascosta per anni. Il film dura quasi tre ore e gli episodi che vengono narrati, spesso accompagnati solo dalla colonna sonora quasi come se fossero dei videoclip, sono scanditi non dalla linearità temporale, ma dalle tematiche dell’intervista al protagonista che ormai ha terminato, seppur attraversando periodi difficili a causa dei pregiudizi dell’epoca, la sua transizione a donna.

Fred, la fidanzata di Laurence, è importantissima nella rappresentazione dell’epoca: di fronte alla realtà mostratagli dal compagno, lei gli resterà vicino anche una volta portata avanti la transizione. Tuttavia, non accetterà mai fino in fondo la sua decisione, cosa che la porterà inevitabilmente alla depressione.

Dolan, con il personaggio di Fred, fa una premonizione di ciò che può accadere se non accettiamo il nostro presente, per quanto brutto e spaventoso possa sembrarci.

L’adolescenza e la sessualità raccontata in Italia da Guadagnino

La rivoluzione bramata dal Laurence di Xavier Dolan, viene affrontata anche in Chiamami col tuo nome (2017) di Luca Guadagnino.

Il film racconta il processo di scoperta sessuale del giovane e acerbo Elio in seguito all’arrivo di un avvenente uomo del New England che si stabilisce a casa della sua famiglia a Crema per il suo post-doct. Quello che accade tra i due protagonisti non è nulla di immediato né di travolgente. Il loro desiderio si instilla lentamente tra impressioni, dubbi e tormenti in un’unione che poteva realizzarsi o meno, non importava. L’importante è che sia accettata e non respinta, come spiega il padre di Elio nel discorso finale: “quando meno te l’aspetti, la natura ha astuti metodi per trovare il tuo punto debole. Tu ricordati che io sono qui. […] Al mio posto, un padre spererebbe che tutto questo svanisse […]”, fornendo al giovane un grande supporto emotivo e, insieme, ribaltando lo stereotipo del padre, per quell’epoca (1983), ancora ostile all’omosessualità del figlio.

Solo con We are who we are (2020) – primo lavoro per la tv di Guadagnino– ci troviamo a trattare di temi di genere, in un periodo storico vicinissimo a quello attuale. La storia corale è ambientata in Italia, in una base militare (di fantasia) nei dintorni di Chioggia, nel 2016, nel semestre che precede le elezioni del 45° presidente degli Stati Uniti.

La base militare di We are who we are è abitata dai militari e dalle loro famiglie, tra padri presi dal loro lavoro e mogli lasciate a loro stesse, mentre i loro figli gironzolano, ribelli e fuori controllo. Tutto sembra normale e prevedibile. Questo però prima dell’arrivo di Fraser e della sua famiglia, composta da Sarah e Maggie. Fraser è eccentrico, ha i capelli ossigenati e lo sguardo spiritato. Il suo sguardo sarà proprio quello degli spettatori che si troveranno catapultati in un’ambientazione insolita e fatta di contrasti, tra l’umanità dei giovani protagonisti alla ricerca di loro stessi e il rigore della milizia.

Chloe Sevigny interpreta il personaggio di Sarah, la nuova comandante della base militare e madre naturale di Fraser. Nonostante le difficoltà, Sarah non perde mai la sua risolutezza ed è proprio colei che prende a cuore la situazione della giovane amica del figlio, Caitilin, nonostante le rimostranze mostrate dal padre della ragazza nei confronti del suo ruolo di comandante.

Il padre di Caitlin, interpretato dal rapper Kid Cudi, nella serie è un fermo sostenitore di Trump; fin da subito si mostra ostile alla nuova comandante e alla sua famiglia non etero-normata. Li accuserà infatti, di influenzare negativamente la figlia, quando inizia a percepirsi come Harper, un ragazzo.

La puntata numero sei in cui Caitlin/Harper si taglia i suoi lunghi capelli afro e affronta con il padre una gita in barca è emblematica dell’amore genitoriale che va oltre il credo politico e la rigidità dell’ambiente in cui si vive. In maniera più estesa, racchiude una critica alla società contemporanea che ancora si stupisce della vasta gamma di desideri che una minoranza della popolazione può avere.

Caitlin/Harper in un abbraccio con il padre nell’ ep.6 di We are who we are (2020)

Sempre in questo episodio c’è un ulteriore monito rivolto al presente. Guadagnino inserisce il giorno della vittoria delle elezioni di Trump (nel 2016) in concomitanza con il giorno dell’attentato che sorprende la comandante e i suoi soldati. La puntata è andata in onda nel 2020, proprio nel periodo in cui Trump si giocava la rielezione. Con una telecamera che alterna tra il televisore lasciato acceso e il salotto vuoto, rimane dunque, il pubblico del dopo 2020 a cui è rivolta la serie. Al pubblico che vede, non più solo la libertà sessuale dei protagonisti di Wawwa rappresentata in tv, ma anche il vecchio entusiasmo -con la consapevolezza di quello che ha comportato o che sarebbe accaduto di lì a poco ( l’assalto al Campidoglio)- dei sostenitori dell’ex presidente.

In tale contesto, la narrazione che viene fatta di Caitlin/Harper è ancora più necessaria: Caitlin, nella prima puntata – vista tramite gli occhi di Fraser al suo primo giorno nella base militare – è una ragazza “normale”, con un fidanzato e una migliore amica, Britney, interpretata da Francesca Scorsese. Già nell’episodio successivo però – specchio del primo dal pov di Caitlin – vediamo la ragazza vestita da ragazzo. Questo aspetto attira l’attenzione di Fraser che vede in lei un “simile” e la aiuterà nel suo percorso di transizione ad Harper.

Fraser è un ragazzo eccentrico ma perfettamente a suo agio nel suo modo di essere, che è quello di chi ha capito già tutto, su chi è e chi desidera diventare. Lo si vede, in particolare, mentre guarda a letto un’intervista di Karl Lagerfeld in cui dà una lezione che lui sembra aver già appreso e che intende trasmettere alla sua giovane amica.

Lagerfeld afferma che non è vero che è migliore e più interessante il passato, ma piuttosto che sta a noi adeguarci ai tempi e che se pensiamo che il passato sia migliore, questo significa che il nostro presente è di “seconda mano” e che quindi siamo vintage. Cosa che va bene certamente per i vestiti, ma non per le persone. Occorre per cui trovare il modo per connettersi al presente, informandoci, senza la pretesa di sapere già tutto.

Infatti Fraser diventa per Caitlin quella presenza mai ingombrante nel percorso di scoperta individuale di lei/loro, che un po’ però è anche suo. Con i due si affronta, con la delicatezza di due ragazzi di sedici anni che si prendono per mano all’uscita da scuola, il tema della “fluidità e del non binarismo di genere”, ovvero quella identità di genere a cui non corrispondono strettamente e completamente il genere maschile o il genere femminile.

Gli anni zero e la loro narrazione alternativa

Come è stato detto, la seconda decade degli anni 2000 ha visto il proliferare di serie tv e produzioni cinematografiche incentrate sul tema dei gender studies. Diventa quindi importante citare anche la serie Euphoria (2019), opera di un regista emergente, Sam Levinson, che nelle sue produzioni inserisce quell’attenzione alle individualità consapevoli del futuro precario che le attende, tipico di Dolan. Euphoria, che contiene degli elementi tipici di questo filone, non indaga mai il percorso interiore della co-protagonista tranne che nella puntata speciale realizzata durante il primo lockdown. Qui parla con la terapista della sua crisi di identità causata dalla sua idea falsata di “femminilità” dovuta dalle convenzioni sui ruoli di genere. Parla del suo ripensamento nel proseguire la cura ormonale e di cosa per lei significhi essere trans. Un monologo – scritto a quattro mani da Levinson e dalla stessa attrice e modella transgender Hunter Schafer, attingendo alla propria esperienza personale – che sarebbe stato utile inserire nella serie dal principio.

Laurence Anyways, i due lavori di Guadagnino e Euphoria rappresentano quattro modi diversi di raccontare le identità e i coming out. In Laurence anyways, il regista decide di far parlare il protagonista al termine della sua transizione, ambientando il film in un’epoca ormai lontana dalla nostra, consentendo allo spettatore di guardare gli eventi a volte tragici e dolorosi del film con il distacco temporale ma anche la consapevolezza dei tempi odierni, in cui forse, da allora, molto non è cambiato.

In Guadagnino, invece, è visibile un primo tentativo di raccontare una storia d’amore e di scoperta sessuale in un contesto fuori dal mondo, isolato, con figure genitoriali comprensive e una open mind; e continuare a preferire le stesse ambientazioni insolite e distaccate dal contesto per narrare le scoperte dei protagonisti di We are who we are.
Levinson, infine, decide di inserire gli stessi elementi di Dolan e Guadagnino, rimanendo quindi nello stesso filone, ma non affronta mai il tema esplicitamente. In Euphoria si dà per assodata la completa integrazione delle persone trans nella comunità; integrazione che sarebbe dovuta avvenire in accordo a Dolan e Laurence Anyways, nel secolo scorso ma che, in tv, avviene solo nel 2020 con Guadagnino e i suoi giovani protagonisti.

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